Dopo American Airlines e Starbucks Corp., anche Walt Disney Co. ha annunciato la messa al bando delle cannucce e dei bastoncini di plastica usa e getta da tutti i propri spazi e sedi operative nel mondo.
L’abolizione è stata proclamata in risposta alle preoccupazioni sulla quantità di rifiuti in plastica che viene riversata negli oceani. L’azienda ha descritto la decisione come «un altro passo importante nel nostro percorso di difesa dell’ambiente». Una nobile dichiarazione, commenta sul Wall Street Journal Yossi Sheffi, direttore del Centro Trasporti e Logistica del Massachusetts Institute of Technology, ma la verità è che molte aziende stanno implementando misure a basso costo e dallo scarso impatto per dare lustro al proprio impegno per l’ambiente.
Per ottenere dei risultati davvero rilevanti, sostiene, sarebbe innanzitutto necessario un cambiamento nelle abitudini dei consumatori. Altrimenti, da parte delle aziende, le azioni per la sostenibilità continueranno a essere focalizzate solo su una piccola parte del business, invece di essere pensate per avere un impatto sull’intera supply chain. Sembrerebbe infatti che l’abolizione delle cannucce di plastica dai punti vendita, per quanto sia un’azione positiva, non avrà un impatto così significativo sull’inquinamento degli oceani rispetto a quello generale della filiera. Secondo uno studio, riporta Sheffi, gli 8,3 miliardi di cannucce sparpagliate sulle coste globali rappresentano lo 0,3% degli 8 milioni di tonnellate di plastica che vengono scaricate ogni anno negli oceani.
Una simile policy ambientale, quindi, produce sicuramente un messaggio positivo per i consumatori, ma è più efficace dal punto di vista pubblicitario che dell’impatto sull’ambiente. Sarebbero più significativi in questo senso cambiamenti ai livelli più profondi della supply chain, dove si coltivano, raccolgono o estraggono le materie prime. In questi casi, spesso, le aziende non hanno sufficiente conoscenza dei fornitori, né potere contrattuale per chiedere dei cambiamenti nei processi operativi.
Coca-Cola, ad esempio, ha destinato risorse significative per ridurre il suo consumo di acqua a 2,2 litri per ogni litro di bevanda, il che non è un’impresa da poco. Tuttavia, i coltivatori di barbabietola da zucchero nella sua supply chain europea utilizzano 28 litri di acqua per litro di Coca-Cola. Ciò non significa, sostiene Sheffi, che questo tipo di politiche aziendali non siano utili, ma per risolvere i problemi dell’ambiente sono necessari cambiamenti che vadano più in profondità nella supply chain.
Daan de Vries, Chief innovation and technology officer di Rainforest Alliance, partendo dai progetti della propria organizzazione fa alcuni esempi, su Business Green, di come l’implementazione di nuove tecnologie che sta trasformando il mondo industriale può realizzare anche una supply chain sostenibile.
Innanzitutto, le aziende che vogliono integrare la sostenibilità all’interno delle proprie logiche di business vogliono poter misurare le performance e il ritorno di investimento tramite delle analisi approfondite della propria supply chain, e la digitalizzazione può essere in questo senso uno strumento per consolidare la fiducia degli stakeholder attraverso la trasparenza. A questo scopo, inoltre, molte aziende si stanno rivolgendo a sistemi di certificazione.
Molti progetti di Rainforest Alliance permettono agli agricoltori di raccogliere dati per valutare le loro performance rispetto agli standard di sostenibilità richiesti. Questi dati sono visualizzabili in tempo reale su una dashboard, permettendo azioni tempestive. Rainforest Alliance ha recentemente lanciato SAT4Farming program, rivolto a produttori di cacao su piccola scala. L’iniziativa mette a disposizione informazioni per migliorare la loro sostenibilità: tramite la tecnologia digitale e le immagini del satellite vengono creati piani di sviluppo agricolo individuali che guidano gli agricoltori ghanesi in un periodo di sette anni.