Posted On 29 Agosto 2018 By In Sostenibilità With 1602 Views

Per combattere la schiavitù bisogna lavorare insieme ai fornitori

Filo spinato su sfondo bianco

Le aziende che sospettano condizioni di schiavitù all’interno della propria supply chain dovrebbero collaborare proattivamente con i fornitori per bandire il lavoro forzato, invece di interrompere subito il rapporto di fornitura. Questo è il suggerimento dell’organizzazione benefica contro la schiavitù Hope for Justice.

Alex Daniel confronta su Supply Management quali sono i comportamenti abituali delle aziende rispetto a questo problema e quale approccio sarebbe invece più decisivo per la sua risoluzione definitiva. Secondo Peter Fahy, Director of Structural Reform di Hope for Justice, le aziende dovrebbero prestare attenzione ai segnali che possono denunciare la presenza di lavoro forzato all’interno della supply chain anche nel proprio paese, e non solo all’estero.

Spesso i buyer si spaventano al sospetto che la schiavitù sia presente nella loro supply chain e rompono immediatamente il contratto con i fornitori. Ma rimuovere il proprio business dalle aree in cui si sospetta l’impiego di lavoro forzato non risolverà la situazione nel lungo periodo.

«È una reazione comprensibile», afferma Fahy, «poiché i buyer temono un danno di immagine e non vogliono correre un rischio. Tuttavia, dovrebbero essere proattivi, lavorare con tutti i fornitori per dire “questo è lo standard che richiediamo” in termini di lavoro minorile, di diritti del personale e delle condizioni di lavoro».

«Non è d’aiuto il fatto che le aziende dei paesi sviluppati semplicemente rimuovano le loro attività dalle aziende nei paesi in via di sviluppo. Sarebbe più utile se aiutassero questi fornitori ad alzare i propri standard».

La schiavitù nelle catene di fornitura, benché sia prevalente nei paesi in via di sviluppo, è ancora un problema considerevole nel Regno Unito e le aziende dovrebbero prestare attenzione ai segnali d’allarme non solo all’estero, ma anche nel proprio paese. «Nonostante in India, Africa e altri paesi in via di sviluppo ci siano indubbiamente molti problemi, gli stessi si ritrovano nel nostro paese».

Fahy, che è stato in passato commissario capo della polizia di Manchester, continua: «Ci sono, purtroppo, fabbriche che sfruttano i lavoratori e impiegano il lavoro forzato, e persone che si approfittano di chi ha problemi personali, come difficoltà di apprendimento e dipendenza dall’alcol o dalla droga. Spesso queste persone vengono tenute in condizioni di prigionia e di lavoro forzato. Bisogna rendersi conto che tutto ciò accade nel nostro paese, nelle nostre città».

Uno sviluppo chiave nel lavoro di beneficienza, ha dichiarato, è stata la decisione di contrastare il problema aiutando le imprese a eliminarlo. La più recente iniziativa di Help for Justice, la Slave Free Alliance, intende realizzare questo obiettivo incoraggiando le aziende a sottoscrivere il proprio impegno nella lotta alla schiavitù in cambio di dati e di consulenza su come agire nel modo più efficace.

«È stato fatto molto per sostenere le vittime del lavoro forzato, ora però il focus è lavorare con le aziende, aiutandole nei controlli sulla supply chain e nella creazione di standard elevati. Condurre audit lungo la catena di fornitura è complesso e lo è ancora di più sapere come comportarsi di fronte a un problema. È importante, tuttavia, assicurarsi che l’azione che si decide di intraprendere non lo renda semplicemente meno visibile».

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