Il presidente americano Joe Biden è andato in visita in Arabia Saudita, dove ha incontrato i leader del principale paese esportatore di petrolio del mondo. Per molti diplomatici e osservatori, la visita è un stata nel segno del duraturo patto oil-for-security che ha definito le relazioni tra i due paesi, dove gli Usa offrono sicurezza in cambio di energia.
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono gli unici produttori di petrolio con la capacità di aumentare significativamente la produzione. Gli interessi energetici e di sicurezza hanno spinto il presidente e i suoi collaboratori a decidere di non isolare il regno, il principale esportatore mondiale di petrolio e potenza regionale che ha rafforzato i legami con Russia e Cina, per riuscire a mettere un freno all’inflazione americana.
L’Arabia Saudita, paese molto spesso descritto come carente nei diritti umani e autoritario, sta lavorando per migliorare la situazione interna sia dal punto di vista della diversificazione energetica sia da quello dello stato di diritto. Il programma Vision 2030 punta a ridurre la dipendenza dal petrolio, attraverso turismo e rinnovabili ma dal punto di vista dei diritti umani la strada da fare è ancora molta.
Diversificazione energetica
L’Arabia Saudita guida la regione MENA negli investimenti energetici, seguita da Iraq, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Ma non si tratta solo di petrolio.
Nell’area, infatti, la diversificazione energetica è in cima all’agenda e molti paesi stanno programmando investimenti in energie rinnovabili come parte di un obiettivo politico condiviso, per diversificare il mix energetico con fonti a basso costo e basse emissioni di carbonio e rafforzare la sicurezza della catena di approvvigionamento.
Nei prossimi anni, la priorità per gli esportatori netti di idrocarburi è di liberare i volumi delle esportazioni di combustibili convenzionali per massimizzare i ricavi e finanziare lo sviluppo socioeconomico e sostenere le iniziative di decarbonizzazione basate sui rispettivi obiettivi di net-zero.
Gli obiettivi net-zero del Golfo
Sebbene pochi paesi MENA abbiano già promesso i loro obiettivi di net-zero, Emirati Arabi Uniti entro il 2050 e Arabia Saudita e Bahrain entro il 2060, l’elettrificazione tramite fonti di energia rinnovabile sarà un fattore chiave per raggiungere tali obiettivi.
Il petrolio saudita si esaurirà nell’arco di qualche generazione e per questo motivo la famiglia reale ha deciso di investire parte dei profitti di Aramco, principale compagnia nazionale di idrocarburi che ha fatturato 400 miliardi di dollari nel solo 2021, per puntare maggiormente su idrogeno e batterie al litio per auto. Circa 1,3 miliardi di dollari sono stati spesi di recente per fornire acqua potabile a Yanbu e decine di miliardi sono già stati impiegati per irrigare i territori della desertica penisola – che punta a diventare un nuovo centro del turismo mondiale.
Tra i programmi sostenibili una menzione particolare la merita la prospettiva di realizzazione di una città a zero emissioni denominata “The Line”, parte del più grande e assai ambizioso progetto chiamato “Neom”, un’area che vorrebbe diventare la “smart city” più grande al mondo.“The Line” dovrebbe essere una città costruita lungo una “linea” di 170 chilometri, larga 200 metri e alta 500, i cui quartieri si svilupperanno in verticale e con tutti i servizi a cinque minuti di distanza a piedi.
Sostenibilità e diritti umani
Secondo Arab News, l’Arabia Saudita, oltre a puntare maggiormente sulle energie rinnovabili per il futuro, ha fatto un salto di qualità anche nel campo dei diritti umani. Il programma Vision 2030, che mira a diversificare l’economia, è in prima linea anche in queste riforme – considerate necessarie in uno stato descritto come “paria” nel 2018 dallo stesso Biden per le responsabilità dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi.
Tra le recenti decisioni prese per migliorare la situazione dei diritti umani nel regno, più di un terzo sono legate alle donne, storicamente emarginate dalla società e dipendenti dagli uomini. Tra queste si citano l’emanazione di leggi sulla protezione dagli abusi e la legge anti-molestie, l’eliminazione del sistema di tutela, il permesso alle donne di guidare, la garanzia di una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro, in particolare la sfera legale, l’assegnazione di un call center per le questioni relative alla violenza domestica, l’istituzione di un Consiglio per gli affari familiari (uno dei cui comitati è dedicato agli affari delle donne) e di tribunali per i casi familiari. Nonostante i passi avanti, sul fronte dei diritti civili resta ancora molto da fare, soprattutto riguardo i diritti LGBTQI+, puniti ancora con pene corporali.
Sui diritti del lavoro, da novembre 2020, il regno ha allentato anche il kafala system, il sistema che richiede a tutti i lavoratori migranti di avere uno sponsor interno, di solito il datore di lavoro che è anche responsabile del visto e dello status legale. Il sistema di sponsorizzazione è stato molto criticato in passato per aver dato ai datori di lavoro il controllo sulla vita di circa 10 milioni di lavoratori migranti. Un miglioramento trasversale di questi fattori, in ottica di sostenibilità e in generale per i fattori Esg mira ad aprire ulteriormente il mercato saudita. Anche la recente decisione del regno di aprire il suo spazio aereo a tutti i vettori aerei e a più sorvoli da e verso Israele va nella direzione di aumentare la stabilità dell’area mediorientale nell’interesse occidentale.