Posted On 18 Maggio 2022 By In Sostenibilità With 904 Views

La rivoluzione sostenibile nella moda

Nel comparto moda, le tematiche della sostenibilità stanno diventando parte integrante delle strategie aziendali a cominciare dai più famosi brand del lusso fino alle catene di fast fashion.

Rinomato per essere uno dei settori più inquinanti in assoluto, secondo una statistica riportata da Bloombergil comparto della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni mondiali di anidride carbonica nell’atmosfera. Inoltre, il mondo del fashion genera un quinto dei 300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno a livello globale.

Sulla base di queste premesse, il concetto di moda sostenibile assume un ruolo fondamentale per diminuire l’impatto che l’intero settore ha sul pianeta e sulle persone. Secondo le stime, sono sempre di più le aziende fashion che si impegnano per la riduzione del consumo di acqua, la lotta agli sprechi e l’introduzione di processi produttivi più sostenibili, così da alzare i rating ESG e abbracciare i valori dell’Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile.

 

I principi di una moda sostenibile

Il concetto di moda sostenibile fa riferimento ad una moda attenta alle esigenze della società e dell’ambiente. I principi guida della moda sostenibile spaziano dal riciclo e il riuso degli abiti alla scelta di tessuti ecologici e naturali. Il tutto unito dall’innovazione tecnologica, che può generare modelli produttivi ancora più attenti alle esigenze del pianeta.

 

Le iniziative europee

Per supervisionare come le industrie di moda consumano e producono, un paio di settimane fa la Commissione europea ha proposto una serie di iniziative che mirano alla trasformazione sostenibile del settore produttivo, attraverso criteri standard di certificazione. In particolare:

La comune pratica di distruggere capi invenduti verrà resa illegale;

Stop alle microplastiche, prediligendo la scelta di materiali non sintetici, e incentivi per investimenti in tecnologie di filtraggio delle lavatrici industriali e domestiche;

– Trasparenza: il mercato avrà il diritto di sapere come, dove, da chi e in che modo vengono realizzate tutte le componenti degli abiti che indossiamo;

No greenwashing: ogni comunicazione sulla sostenibilità di un prodotto dovrà essere supportata da valide prove scientifiche;

EPR ‒ Extended producers’ responsibility: la Commissione Ue ha proposto che siano i brand a occuparsi della gestione del fine vita di ogni articolo prodotto tramite il pagamento di una tassa dedicata che servirà a potenziare sistemi di raccolta, recupero e riciclo;

– Per limitare il business model dei brand fast-fashion, responsabili di aver innescato insostenibili cicli di sovrapproduzione e sovraconsumo, la Commissione chiede che venga ridotto, tra le altre cose, il numero di collezioni e drop annui;

Ricerca e innovazione: sostegni alla ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie per il riciclo dei materiali tessili e di nuovi materiali bio-based.

Giustizia sociale: la Commissione chiede che gli articoli realizzati in condizioni avverse ai diritti fondamentali dell’uomo non siano più ammessi nel mercato europeo;

– Vintage o scarto: recuperare vestiti usati per la rivendita è diventato sempre più difficile e costoso a causa della scarsa qualità progettuale iniziale dei capi. Costo che i paesi occidentali esportano vendendo più della metà dei capi d’abbigliamento usati a paesi extra Ue le cui discariche e risorse naturali sono, però, oramai sature. L’esportazione di vestiti usati, propone la Commissione, avverrà dunque solo verso paesi che ne dimostrino la volontà e la capacità di gestione.

Queste iniziative così innovative, se promosse dal Parlamento e dal Consiglio europeo, riuscirebbero a far diventare il mercato del nostro continente il primo al mondo ad acquisire regole in armonia tra loro sulla sostenibilità dei prodotti.

 

Verso una nuova ripresa

Duramente colpito dalla pandemia, il settore moda nel 2021 ha messo a segno una rapida ripresa, con una crescita del 28% attesa per l’intero anno. È quanto emerge dall’annuale report sul Sistema Moda dell’Area studi Mediobanca, che aggrega i dati di 70 player mondiali e di 134 grandi aziende italiane del fashion. Una classifica che vede il nostro Paese in testa con 7 big.

La ripresa, favorita anche dal boom delle vendite online, è stata accompagnata anche da un’attenzione crescente verso le tematiche Esg. Dai bilanci di sostenibilità emerge che nel 2020 i grandi gruppi della moda hanno diminuito per ogni milione di fatturato  i consumi di acqua del 13,1%, la produzione di rifiuti del 10%, le emissioni di Co2 dell’1%, e hanno invece aumentato l’utilizzo di energia elettrica da fonti rinnovabili di 7 punti percentuali portandola sul totale dal 49,9 al 57,6%.

 

Le potenzialità dell’industria della moda italiana

Un settore particolarmente promettente è quello delle BCorp, vale a dire quelle aziende che hanno ottenuto la certificazione rilasciata da B Lab, una non profit statunitense che valuta il soddisfacimento di una serie di requisiti ambientali e sociali molto stringenti.

In Italia esistono oggi 140 B Corp e rappresentano la moda sia marchi come Save The Duck e Rifò, sia aziende di filiera come Lampa, che produce accessori, e Icma, con la sua carta di alta gamma per il packaging. Come sostiene il Sole 24 ore, con le 570mila aziende del tessile-moda-accessorio, l’influenza dell’industria italiana su questa transizione rigenerativa è cruciale. Non solo grazie alla sua massa critica, ma anche e soprattutto per il livello di sostenibilità, già avanzato, del modello produttivo del made in Italy, in cui l’artigianalità, il legame con il territorio e con le filiere, l’attenzione alla qualità dei materiali sono valori che possono essere un modello per il mondo.

 

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