Posted On 19 Ottobre 2018 By In Sostenibilità With 1213 Views

L’Asia può produrre olio di palma sostenibile?

olio di palma

Nella gestione della supply chain non basta rivolgersi a fornitori già sostenibili

L’olio di palma è l’olio vegetale più consumato e al tempo stesso contestato del pianeta. Questo ingrediente versatile è presente in moltissimi prodotti alimentari, ma non senza costi: la deforestazione e il degrado di ecosistemi fondamentali, il cambiamento climatico e la violazione dei diritti umani e dei lavoratori. Jeanne Stampe e Lise Pretorius approfondiscono su Green Biz le cause e le possibili soluzioni a un problema che riguarda molte aziende che acquistano forniture alimentari.

Le soluzioni attuali per trasformare il modo in cui usiamo i terreni per produrre il cibo, e l’olio di palma in particolare, rimarranno poco efficaci finché le aziende e le banche asiatiche continueranno a comprare e finanziare olio di palma non sostenibile.

È vero che una parte del mercato sta facendo dei passi in avanti. Molti dei maggiori marchi del settore hanno policy per l’approvvigionamento sostenibile, sebbene di rigidità variabile. Come minimo queste policy richiedono lo standard di certificazione più diffuso, the Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo), oppure, in aggiunta, la certificazione  No Deforestation, No Peat and No Exploitation (Ndpe). Anche molte banche internazionali vanno oltre l’Rspo e includono la conformità allo standard Ndpe, e gli investitori stessi hanno spinto per rivedere la certificazione Rspo e renderla più completa.

Alcune grandi istituzioni finanziarie stanno sostenendo la  Task Force on Climate-Related Financial Disclosures (Tcfd), che opera per la divulgazione di strategie lungimiranti e con un fondamento scientifico per la difesa del clima e ha stilato delle raccomandazioni per il settore alimentare. Alcune banche stanno già premiando le aziende più sostenibili con prestiti che legano il costo del capitale ai rating Esg.

Anche se questi passi avanti non sono esenti da problemi – per esempio, come monitorare e rinforzare il rispetto dello standard Ndpe – il punto più critico nel settore è il continuo riversarsi di olio di palma non sostenibile in un mercato secondario con regole meno restrittive. Questo fatto è causato da almeno tre ragioni.

In primo luogo, c’è la tendenza delle aziende a “ripulire” le supply chain comprando solo da fornitori già sostenibili. Invece di risolvere il problema, questa pratica sposta semplicemente la deforestazione negli ambienti circostanti e la situazione non cambierà finché i piccoli coltivatori saranno esclusi dai programmi delle aziende più progressiste.

In secondo luogo, il mercato raccoglierà quello che le supply chain “pulite” non vogliono. L’India è il secondo importatore al mondo di olio di palma, mentre la domanda crescente di questo prodotto nei mercati emergenti è una delle cause principali della deforestazione in Indonesia e Malesia. I mercati a maggior espansione per l’olio di palma sono proprio quelli con standard sulla sostenibilità meno rigidi: non solo Cina e India, ma anche il Medio Oriente e l’Europa dell’Est.

Infine, le banche asiatiche continuano a erogare prestiti a chi produce o si rifornisce di olio di palma non sostenibile senza richiedere come prerequisito miglioramenti sui criteri della sostenibilità entro un termine di scadenza.

Keep Palm, un report realizzato dal Wwf e da Clsa, un gruppo asiatico di investimento, sottolinea come le aziende, le banche e gli investitori possono giocare un ruolo importante nell’alzare gli standard di sostenibilità dell’intero settore.

Il report consiglia agli acquirenti finali – i rivenditori della regione, le aziende di beni di consumo, i ristoranti e gli hotel – di impegnarsi a diffondere l’adozione di piani a termine per una fornitura di olio di palma certificata Rspo e compliant al Ndpe. Inoltre, essi dovrebbero raggiungere il 100% di tracciabilità, fino alla piantagione, nelle proprie supply chain.

Questa “pulizia”, però, non dovrebbe semplicemente spostare i problemi del settore. Almeno una parte degli acquisti per le supply chain sostenibili dovrebbe provenire da piccoli coltivatori, e preferibilmente bisognerebbe aiutarli a ottenere la certificazione Rspo. Allo stesso tempo, bisogna spostare l’attenzione oltre le singole piantagioni e progetti per assicurare la sostenibilità di territori più vasti e delle comunità che ne dipendono, trovando soluzioni che coinvolgono più soggetti economici e allo stesso tempo proteggendo gli ecosistemi vitali e le foreste e dando sostegno alle comunità locali.

Le banche della regione possono giocare un ruolo critico nel supporto a queste soluzioni, ad esempio cominciando a divulgare il modo in cui i problemi del clima, della deforestazione, del lavoro forzato e dei diritti umani vengono gestiti nel proprio portafoglio crediti. Possono seguire l’esempio dei loro colleghi internazionali nel richiedere ai propri clienti pratiche di produzione sostenibili e possono aiutare i piccoli coltivatori a migliorare i propri metodi di produzione attraverso modalità innovative di finanziamento. Allo stesso modo, gli investitori possono collaborare con le aziende del proprio portafoglio, incluse le banche, e spingere all’adozione di best practices più ambiziose.

Secondo i dati di Thomson Reuters, solo un quarto delle aziende con sede in Asia dichiarano obiettivi di riduzione delle emissioni. I dati mostrano che queste aziende hanno un rating Esg significativamente più alto, che sta cominciando a influenzare il costo del capitale. Inoltre, sono nate iniziative locali come la Southeast Asia Alliance for Sustainable Palm Oil con sede a Singapore e la China Sustainable Palm Oil Alliance, che dimostrano un crescente impegno per la produzione di olio di palma sostenibile nella regione.

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