La filiera agro-alimentare rappresenta uno dei settori più importanti dell’economia globale. La pandemia ha avuto un impatto enorme sull’intero processo, dalla coltivazione (a causa della carenza di accesso a manodopera e materie prime) al consumo (soprattutto per la riduzione del potere d’acquisto) e aumentato l’insicurezza alimentare globale in quasi tutti i paesi e interrompendo le catene di approvvigionamento alimentare.
Il numero di persone in situazione di grave insicurezza alimentare è raddoppiato rispetto a prima della pandemia, a 276 milioni di persone – con il numero di quelle malnutrite arrivato a 811 milioni nel 2020 e destinato ad aumentare. La preoccupazione riguarda la produzione, la trasformazione, la distribuzione e la domanda degli alimenti.
L’indice dei prezzi alimentari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) misura la variazione mensile dei prezzi globali di un paniere di prodotti. I dati di marzo mostrano un aumento del 12,6% dei prezzi globali rispetto a febbraio, i livelli più alti registrati nei tre decenni di storia dell’indice. L’aumento ha colpito soprattutto oli vegetali e cereali.
Gli effetti della guerra (e non solo)
Russia e Ucraina esportano milioni di tonnellate di grano ogni anno – Mosca produce quasi 80 milioni di tonnellate all’anno e ne esporta quasi 30, mentre l’Ucraina esporta da 20 a 25 milioni di tonnellate l’anno.
Nel 2019 circa un quarto delle esportazioni globali di grano proveniva da Ucraina e Russia, mentre un quinto per mais e orzo, e i due paesi sono fonte di quasi due terzi dell’olio di girasole scambiato globalmente (l’Ucraina rappresenta quasi la metà delle esportazioni mondiali). I paesi di destinazione del grano sono Europa, MENA e Sud-est asiatico, ma a causa della guerra la catena dell’approvvigionamento è bloccata. Anche l’Italia è stata colpita da pesanti rincari e per l’olio di girasole si parla di un +43%.
La situazione attuale presenta inoltre similitudini rispetto a quella del 2011, quando a causa della siccità in Russia e al conseguente aumento dei prezzi su beni di prima necessità scoppiarono le rivolte in molti dei paesi importatori che, insieme ad altri fattori concomitanti, fecero scoppiare le cosiddette “primavere arabe”. Alcuni paesi rischiano più di altri, poiché importano oltre la metà del grano dall’Ucraina o dalla Russia, come Egitto, Libano e Yemen.
La situazione in Ucraina
In Ucraina il 90% delle esportazioni passa dal Mar Nero, per il Bosforo e verso il Canale di Suez con navi che navigano per tutto il mondo. Dallo scoppio della guerra, nel Mar Nero sono state segnalate molte mine galleggianti e i principali porti del paese sono stati chiusi: Odessa, Youjne, Mykolaiv, Kherson, Berdiansk, Mariupol.
L’alternativa, per il paese invaso, è quella di esportare i prodotti nazionali per via ferroviaria attraverso i paesi dell’Unione europea, ma con il flusso di rifugiati le tratte risultano piuttosto affollate. Inoltre, a causa di mine e bombardamenti un terzo dei terreni agricoli non è stato seminato e meno semina significa meno raccolto sei mesi più tardi.
Russia: sanzioni ed esportazioni
Riguardo il commercio russo, le sanzioni occidentali limitano il commercio internazionale ed escludono la sua economia anche per le esportazioni di grano, amplificando l’impatto dell’inflazione. Anche il prezzo del granoturco, che serve per nutrire gli animali, è in aumento e impatta di conseguenza sul prezzo della carne.
Le sanzioni contro il paese potrebbero privare il resto del mondo di un altro prodotto cruciale, il concime. Il 15% del concime di tutto il pianeta viene dalla Russia e per i paesi che ne dipendono, come Brasile e Stati Uniti, meno concime significa meno cibo o aumento dei prezzi.
Cause e conseguenze nel medio e lungo periodo
Già da prima dello scoppio della guerra, i prezzi erano in fase di aumento, per la siccità in Europa dell’estate 2021 e l’aumento della domanda al termine dei primi lockdown in Cina. Si rincari ha influito anche la maggiore domanda di petrolio, importante nella coltivazione, nel trasporto e nella produzione degli alimenti, e del gas, che serve a produrre concimi.
Ma la crisi alimentare attuale, come afferma George Monbiot sul The Guardian, può essere letta come conseguenza del concentrarsi della produzione in pochi paesi e del controllo del mercato di pochi soggetti. Il 90 % del mercato globale dei cereali è controllato da quattro gruppi mondiali, ADM-Archer Daniels Midland (USA), Bunge (USA), Cargill (USA), Louis Dreyfus Commodities (Francia).
La polarizzazione verso superimportatori e superesportatori ha contribuito alla fragilità del sistema in un periodo di aumento degli shock e la convergenza verso una “dieta standard globale” ha determinato l’aumento della domanda di molti prodotti come grano, riso, mais e soia che ora rappresentano quasi il 60% delle calorie coltivate dagli agricoltori.
Previsioni e possibili alternative
Il Rapporto globale del 2022 sulle crisi alimentari evidenzia la gravità della situazione e il numero elevato di persone in crisi in numerosi paesi, spinti da conflitti persistenti, shock economici pre-esistenti e legati al Covid-19 e a condizioni meteorologiche estreme. Secondo il World Food Programme, agenzia delle Nazioni Unite, 48,9 milioni di persone sono sull’orlo della carestia a causa di questa tempesta perfetta. Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Afghanistan e Yemen sono i paesi a più alto rischio.
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha avvertito recentemente che la diminuzione delle scorte di cibo causata dalla guerra in Ucraina, dalla pandemia e dal cambiamento climatico potrebbe inoltre portare a disordini globali. “If we do not feed people, we feed conflict,” ha dichiarato.
Come contromisure, alcuni paesi stanno cercando di sostituire il grano con il riso – causandone l’aumento del prezzo – nel tentativo di diversificare le importazioni. Le soluzioni per i mercati africani e asiatici scarseggiano e per il futuro sarà necessario diversificare la produzione alimentare per combattere la fame.