Riportiamo di seguito l’articolo di Claudia Cervatti, School of Management del Politecnico di Milano, pubblicato sul magazine “The Procurement – Digital Supply Chain & e-Procurement” (Anno 4 Numero 3) nella sezione Speciale Supply Chain Finance.
Ultimi dati e trend dall’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano
Il Supply Chain Finance è un tema molto discusso, ma raramente definito. Noi dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, impegnati ormai da oltre cinque anni con attività di ricerca e divulgazione scientifica sul tema, per “Supply Chain Finance” intendiamo l’insieme di soluzioni che consentono a un’impresa di finanziare il proprio Capitale Circolante, generato dalla propria attività operativa (crediti, debiti, scorte) o da investimenti correnti, facendo leva sul ruolo che essa ricopre all’interno della Supply Chain in cui opera e sulle relazioni con gli altri attori della filiera.
Perché è importante parlare di Supply Chain Finance in Italia? Vi sono due elementi strutturali che è opportuno considerare. In primo luogo, i tempi di pagamento dei debiti commerciali sono estremamente lunghi, attestandosi nel 2016 su un valore medio di 124 gg, di ben superiore rispetto ai valori registrati negli altri paesi europei. Segnali incoraggianti sicuramente si sono rilevati nel 2016 rispetto al 2015 (-4,2%) e segnali analoghi si ritrovano anche per le altre componenti del cash-to-cash, quali i tempi medi di incasso dei crediti commerciali di circa 98 gg, in calo rispetto al 2015 (-11,1%) o i tempi medi di copertura delle scorte di circa 70 gg (-3,5%). Ma questi dati incoraggianti sono positivi, ma non sufficienti e rimane vero che il circolante delle imprese lungo la filiera si gonfia e aumenta l’esposizione finanziaria complessiva.
In secondo luogo, l’importanza del mercato del Supply Chain Finance viene anche confermata dalla rilevanza del mercato di riferimento. Le aziende italiane nel 2016 presentavano infatti un Capitale Circolante ancora molto rilevante (460 mdl €) nonostante sia complessivamente in riduzione (-10,5%), a fronte di una crescita complessiva del fatturato generato. Questo risultato è principalmente trainato da un calo dei crediti commerciali, arrivati a 637 mld € (-9,8% rispetto al 2015). Diminuiscono anche le rimanenze, assestandosi a 458 mld € (-2,2%), e i debiti commerciali, 635 mld € (-3,8%). Ma non è neppure questo il risultato più rilevante. In primis, infatti, occorre evidenziare che il mercato servito si rivela stazionario, pari al 23% del mercato potenziale totale (Figura 1). In termini di soluzioni, si rileva una contrazione significativa dell’Anticipo Fattura (-13,8% sul 2015), mentre salgono ancora il Factoring (+6,6%), e soprattutto il Reverse Factoring, che vale oltre 3 mld € e continua a crescere più delle forme tradizionali (+7,0%). Le soluzioni innovative, muovendosi su volumi limitati, si assestano sul valore del 2015. Per quest’ultimo dato è prevista una forte crescita nel 2017, anche grazie al boom del fintech, che ha visto la discesa in campo di parecchie start-up in particolare nel settore del Dynamic Discounting e dell’Invoice Auction.
Figura 1. Il mercato potenziale e il mercato servito del Supply Chain Finance in Italia nel 2016
L’ultimo dato riportato risulta particolarmente interessante in quanto il panorama delle imprese italiane è costituito per il 97,3 % da piccole imprese (fatturato < 10 mln €) che hanno una maggiore difficoltà intrinseca di accesso al credito tradizionale e per cui anche le soluzioni tradizionali sono poco efficaci.
Si rendono quindi necessarie delle modalità di accesso a liquidità alternative, che siano adeguate a piccole importi e più flessibili. A questo proposito il Supply Chain Finance si sta affermando come una risposta concreta, soprattutto per piccole e medie realtà. Ma anche nuovi attori si stanno affacciando su questo mercato, a livello sia nazionale sia internazionale. Tramite una ricerca condotta in collaborazione con Assifact (Associazione Italiana per il Factoring), abbiamo individuato a livello internazionale oltre 100 start-up attive in ambito Supply Chain Finance al fine di studiarne le caratteristiche e il loro ruolo innovativo ed emerge evidente come le start-up italiane siano riconducibili a 4 business model chiari e distintivi, volti a rispondere a diversi obiettivi delle imprese:
- Cash Seeker, orientati a creare il match tra domanda e offerta di capitali. Tale modello si pone in modo esplicito come alternative finance e ha l’obiettivo di mettere in contatto investitori (istituzionali o privati) che cercano opportunità di investimento non tradizionali con imprese che cercano liquidità alternativa, perché in difficoltà di accesso al canale bancario.
- Cash Exploiter, per sfruttare la liquidità della filiera ponendosi in ottica alternative finance, ma con un approccio opposto rispetto al primo e l’obiettivo di rendere più efficiente l’uso della liquidità in eccesso esistente nella filiera.
- Working Capital Broker, per consentire alle imprese di ottenere liquidità a breve termine, tramite soluzioni consolidate, applicate con nuovi investitori istituzionali disaccoppiando il sistema cliente-fornitore, sistematizzando la cessione del credito o delle scorte in partnership con il mondo istituzionale e andando a finanziare attori profilati in modo molto avanzato.
- Compass, per offrire strumenti volti a ridurre le asimmetrie informative lungo la filiera, al fine di semplificare la valutazione del merito creditizio o di offrire soluzioni volte ad ottimizzare la gestione del cash flow.
Tutti i business model evidenziano 3 aspetti comuni: velocità, tecnologia e focus sulle Piccole e Medie Imprese (PMI). L’influenza del fintech sui modelli tradizionali emerge chiara, anche in ottica collaborativa e di partnership con gli attori tradizionali: spariglia le carte in tavola per tutti giocatori insinuandosi nelle inefficienze del sistema creando alternative e concorrenza, democratizzando strumenti e offerte prima difficilmente accessibili alla grande massa.