Apple sta ristrutturando radicalmente la sua supply chain globale. Dopo anni di forte concentrazione produttiva in Cina, l’azienda ha avviato una transizione strategica che coinvolge India e Vietnam come nuovi hub per l’assemblaggio e la produzione di componenti. Questa trasformazione è guidata da un mix di fattori geopolitici, economici e tecnologici, in particolare dalla stretta protezionista americana e dal ritorno delle tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Un decennio di espansione in Cina

Dal 2013 al 2023, la presenza produttiva di Apple in Cina è aumentata in modo esponenziale. La quota di fornitori cinesi nel settore della precision manufacturing (componentistica meccanica, lavorazioni in metallo, viti, leghe) è passata dal 14% all’86%. Tuttavia, molte delle aziende coinvolte nella produzione – pur operando in Cina – hanno sede fuori dal Paese, in particolare a Taiwan, Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud.

Nel dettaglio:

  • PCB (circuiti stampati): la maggior parte degli impianti è in Cina, ma l’88% dei fornitori è taiwanese.

  • Semiconduttori: solo il 4% dei fornitori è cinese, mentre il 63% ha sede negli Stati Uniti. Le fasi chiave di design e produzione restano occidentali.

  • Packaging e stampa: settore dominato da aziende cinesi (62% per sede), con stabilimenti quasi esclusivamente in Cina.

  • Componenti elettronici: la produzione è frammentata tra Cina, Corea del Sud, Giappone e Sud-Est asiatico.

  • Display: Samsung e LG continuano a detenere quote rilevanti, ma player cinesi come BOE stanno guadagnando terreno grazie al supporto statale.

Questa complessa architettura rivela che, sebbene la Cina sia il cuore manifatturiero, il valore aggiunto – dalla progettazione al know-how tecnologico – resta concentrato nelle economie avanzate, in primis Stati Uniti e Taiwan.

Trump, tariffe e tensioni: un equilibrio messo alla prova

Il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump nel 2025 ha rinfocolato lo scontro commerciale con la Cina. Le tariffe medie sulle importazioni cinesi sono balzate dal 2,5% al 27%, il massimo storico dai tempi della Grande Depressione. Per Apple, che continua ad assemblare gran parte dei dispositivi in Cina, l’impatto è diretto: si stima che queste misure possano generare fino a 8,5 miliardi di dollari annui di costi aggiuntivi, se estese anche a fornitori localizzati in India, Vietnam e Malesia.

Nei mercati, la reazione non si è fatta attendere: il titolo Apple ha perso oltre il 3% in poche ore dopo l’annuncio delle nuove tariffe.

India e Vietnam: diversificazione sotto pressione

Per rispondere a questi shock, Apple ha intensificato il decentramento produttivo. Entro il trimestre di giugno 2025, si prevede che la maggior parte degli iPhone venduti negli USA sarà prodotta in India, mentre quasi tutti gli iPad, Mac, Apple Watch e AirPods destinati agli Stati Uniti arriveranno dal Vietnam.

Il processo è tuttavia complesso: le nuove destinazioni soffrono di limiti strutturali, come carenze infrastrutturali, filiera poco sviluppata, mancanza di forza lavoro specializzata e bassa esperienza nella manifattura elettronica su larga scala. Nonostante ciò, Apple punta a garantire una qualità costante, a prescindere dal luogo di produzione.

Investimenti negli Stati Uniti: reshoring selettivo

In parallelo alla delocalizzazione asiatica, Apple ha lanciato un piano da 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti. L’obiettivo: rafforzare la presenza produttiva domestica, creare 20.000 nuovi posti di lavoro e sviluppare una base industriale interna in settori strategici. Tuttavia, si tratta di una mossa parzialmente simbolica: il reshoring totale è difficilmente realizzabile nel breve termine, data l’enorme integrazione industriale raggiunta in Asia.

Chi controlla davvero la catena di fornitura Apple

Nonostante la predominanza geografica cinese nella manifattura, la catena del valore resta saldamente nelle mani di paesi come Stati Uniti, Taiwan, Giappone e Corea del Sud. Questi Paesi dominano i segmenti ad alto valore: progettazione dei chip, materiali speciali, semiconduttori avanzati, innovazione software.

Ad esempio, nel settore dei semiconduttori, la Cina è ancora limitata alle fasi di packaging e test. Le fasi di progettazione e litografia avanzata restano saldamente sotto controllo di TSMC, Intel, AMD, Nvidia e altri attori non cinesi.

Procurement e telecomunicazioni: le lezioni da imparare

Per i responsabili della supply chain e del procurement, in particolare nel settore telecomunicazioni, il caso Apple è emblematico. Diversificare siti produttivi e fonti di approvvigionamento, integrare il rischio geopolitico nella pianificazione strategica e costruire una filiera distribuita sono ormai requisiti fondamentali.

La trasformazione di Apple suggerisce che non è sufficiente spostare le fabbriche: serve una riconfigurazione strutturale della rete industriale globale, capace di resistere a tensioni politiche, dazi e crisi logistiche.

La nuova mappa industriale globale

Apple sta tracciando una nuova geografia industriale. La Cina resta il fulcro della manifattura, ma non più l’unico. India e Vietnam stanno guadagnando terreno, mentre gli Stati Uniti tornano ad attrarre investimenti produttivi mirati.

In questo scenario, resilienza e flessibilità diventano le nuove parole chiave per la gestione della supply chain. Per Apple – e per tutte le imprese globali – il successo dipenderà dalla capacità di bilanciare efficienza operativa, stabilità geopolitica e controllo tecnologico.