Dal 9 al 13 giugno, Nizza ospita la terza edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani, un evento globale co-organizzato da Francia e Costa Rica, che mette al centro del dibattito la salute del “cuore blu” del pianeta. L’appuntamento segna una tappa cruciale verso il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 14 dell’Agenda ONU, dedicato alla conservazione e all’uso responsabile di oceani, mari e risorse marine.
In un contesto segnato dall’intensificarsi della crisi climatica e da un crescente stress sugli ecosistemi marini – tra pesca eccessiva, inquinamento da plastica, emissioni e degrado della biodiversità – il tema scelto per l’edizione 2025 è chiaro e ambizioso: accelerare l’azione e coinvolgere tutti gli attori per una gestione sostenibile degli oceani.
Una logistica globale che impatta gli oceani
Gran parte del dibattito ruota attorno a una verità poco visibile ma essenziale: oltre il 90% del commercio mondiale viaggia via mare. Il trasporto marittimo è quindi un ingranaggio fondamentale delle supply chain globali, ma è anche una delle principali fonti di impatto sull’ambiente marino. Le rotte commerciali attraversano aree spesso fuori dalla giurisdizione di qualsiasi Stato – i cosiddetti “alti mari”, che coprono circa due terzi dell’oceano – rendendo difficile applicare regole efficaci di tutela.
L’approvazione nel 2023 del Trattato sulla Biodiversità oltre le Giurisdizioni Nazionali (BBNJ) ha rappresentato un primo passo verso una governance condivisa di queste acque, finora caratterizzate da attività poco regolamentate come la pesca industriale e l’estrazione mineraria in acque profonde. La sua attuazione concreta è ora una delle priorità del confronto internazionale.
Il costo ambientale delle pratiche industriali
La Conferenza pone l’attenzione anche su pratiche particolarmente distruttive, come la pesca a strascico di profondità, che devasta i fondali marini, danneggia habitat vulnerabili e rilascia carbonio immagazzinato nei sedimenti. Allo stesso tempo, cresce la preoccupazione per l’uso di sostanze chimiche persistenti, come le PFAS – note anche come “sostanze eterne” – la cui presenza negli ambienti marini è sempre più diffusa e difficile da eliminare.
Segnali di resilienza e speranza
Nonostante l’allarme diffuso, esistono esempi incoraggianti di ripresa. Alcune popolazioni marine, come quella delle megattere nell’Atlantico sud-occidentale, hanno mostrato una sorprendente capacità di rigenerarsi dopo decenni di protezione. Questo dimostra che, con le giuste politiche e una governance efficace, l’oceano può guarire più rapidamente del previsto.
Blue Economy, coste resilienti e nuove filiere
A margine della Conferenza, nasce la Ocean Rise & Coastal Resilience Coalition, una rete internazionale di città e regioni costiere impegnate ad affrontare l’innalzamento del livello del mare e gli eventi meteo estremi. L’iniziativa rappresenta un esempio concreto di adattamento locale a una sfida globale.
Nel frattempo, il mondo della logistica e del commercio è chiamato a ripensare i propri modelli operativi: si parla di carburanti meno inquinanti, supply chain più corte, digitalizzazione per l’efficienza e investimenti negli ecosistemi marini come strumenti di mitigazione climatica. Le cosiddette soluzioni “blue carbon” – come mangrovie, posidonia e paludi salmastre – offrono una doppia funzione: assorbire CO₂ e proteggere le coste da erosione e mareggiate.
Governance partecipata e visione oltre il 2030
Cresce anche il ruolo della società civile, della scienza e delle comunità locali, che si organizzano in iniziative trasversali per costruire una governance più equa e inclusiva degli oceani. Progetti come Let’s Be Nice to the Ocean promuovono il dialogo tra territori, saperi tradizionali e innovazione, con l’obiettivo di immaginare scenari sostenibili per il mondo marino oltre l’orizzonte del 2030.
La rotta da cambiare
La posta in gioco è alta, e non riguarda solo l’ambiente: riguarda il nostro modello economico, la stabilità delle supply chain, la sicurezza alimentare e la resilienza dei territori. Se i Paesi sapranno trasformare gli impegni in azioni concrete – puntando su shipping sostenibile, pratiche commerciali responsabili e alfabetizzazione oceanica diffusa – l’oceano potrà davvero avere una nuova possibilità.
La conferenza di Nizza non è solo un evento diplomatico: è un appello a cambiare rotta. Prima che sia il mare a farlo per noi.

