Deloitte ha presentato un’analisi condotta su 200 organizzazioni per esaminare come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) stia cambiando la gestione delle catene di fornitura, ridisegnando i rischi e rafforzando la responsabilità delle imprese a livello globale.

La direttiva dell’Unione Europea, infatti, introduce obblighi stringenti di rendicontazione in materia di sostenibilità, imponendo alle aziende di dichiarare in modo dettagliato il proprio impatto ambientale e sociale lungo tutta la value chain. Questo comporta nuove modalità di raccolta dati, maggiore coinvolgimento dei fornitori e una responsabilità estesa all’intero ecosistema aziendale.

Dal reporting volontario alla disclosure regolamentata

Lo studio, intitolato “Beyond compliance: Enhancing trust through reporting”, mostra come la CSRD abbia trasformato la sostenibilità aziendale: da impegni volontari a un sistema regolato e verificabile.

Come sottolinea Ivan Kukhnin, Partner di Strategy, Risk & Transactions, Sustainability di Deloitte Paesi Bassi, i dati raccolti evidenziano non solo le difficoltà legate all’adeguamento normativo, ma anche le opportunità per le aziende che scelgono di sfruttare la rendicontazione come vantaggio competitivo strategico.

Le catene di fornitura sotto la lente

Il settore dei beni di consumo rappresenta la quota maggiore dello studio (62 aziende). Qui la compliance alla CSRD costringe a mappare i fornitori e a interagire più attivamente lungo la catena del valore.

  • Quasi tutte le aziende riportano le emissioni legate a beni e servizi acquistati, mentre il 94% dichiara anche le emissioni da trasporto e distribuzione a monte.

  • Le imprese sono così spinte a gestire le emissioni Scope 3, quelle indirette connesse ai fornitori e alla logistica.

  • Nei report compaiono con frequenza strategie di economia circolare: aumento della durabilità e riciclabilità dei prodotti, uso di materiali secondari, programmi di riduzione della plastica, soluzioni di riparazione e modelli refill.

Nel settore tecnologia, media e telecomunicazioni (TMT), che conta 30 aziende analizzate, i rischi riguardano soprattutto il lavoro nella supply chain: circa il 60% dei report tratta temi come salute e sicurezza, lavoro minorile e lavoro forzato.

Trasparenza nella value chain e settori a confronto

Nei servizi finanziari, la CSRD estende la trasparenza alle emissioni finanziate, ossia quelle legate a portafogli di prestiti e investimenti. Il 90% delle banche dichiara target di riduzione delle emissioni, ma gran parte si basa su stime e metodologie standard (come il PCAF) anziché su dati diretti da clienti o controparti.

Per il comparto energia, risorse e industria (55 aziende), la direttiva spinge su decarbonizzazione e pianificazione della transizione:

  • 30 aziende hanno fissato obiettivi net zero per le emissioni Scope 3;

  • 51 hanno pubblicato piani di transizione climatica;

  • quasi 9 su 10 rendicontano pratiche di economia circolare, mentre il 73% si concentra anche su biodiversità ed ecosistemi.

Infine, il settore life sciences e healthcare (16 aziende) estende la rendicontazione CSRD a temi come accesso ai farmaci nelle comunità vulnerabili, sicurezza dei pazienti e protezione dei dati. Circa il 30% considera anche il benessere animale nei test preclinici. Le principali criticità riguardano smaltimento di farmaci e rifiuti medicali, ma poche aziende fissano target concreti in quest’area.

Oltre la conformità: verso innovazione e fiducia

Secondo Jeff Schwartz, Co-leader Global Non-Financial Reporting Disclosures di Deloitte, la CSRD segna un cambiamento epocale: la disclosure obbligatoria, unita a processi di assurance, aumenta trasparenza e responsabilità. Ma per chi abbraccia questa trasformazione, la rendicontazione di sostenibilità può diventare un catalizzatore di innovazione, resilienza e fiducia.

Anche Laurent Vandendooren, suo co-leader, ribadisce che la direttiva costringe le organizzazioni a compiere progressi concreti nei programmi di sostenibilità, creando valore non solo per gli stakeholder esterni ma anche per la governance interna.

Le raccomandazioni Deloitte

Lo studio propone alcune linee guida per le imprese:

  • integrare la sostenibilità nei processi di procurement e allocazione del capitale;

  • adottare valutazioni di materialità per definire rischi e opportunità prioritari;

  • investire in sistemi digitali flessibili per il monitoraggio dei fornitori;

  • collegare il reporting ESG a finanza, legale e risk management per rafforzare l’accountability.

Kukhnin conclude che la CSRD non è un esercizio formale: “La prima ondata di rendicontazioni ha dimostrato quanto le aziende abbiano sottovalutato l’impegno richiesto. Non esiste una soluzione preconfezionata: servono disciplina, collaborazione tra funzioni e uso intelligente dei dati. La rendicontazione di sostenibilità non è un documento annuale, ma un processo continuo che permette di orientare gli investimenti e rendere la sostenibilità una leva strategica di business”.