Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la riforma delle norme UE sulla rendicontazione di sostenibilità e sul dovere di diligenza delle imprese, introducendo una significativa semplificazione del quadro regolatorio Esg. Il testo, approvato con 428 voti favorevoli, 218 contrari e 17 astensioni, modifica due pilastri della legislazione europea: la Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd).
La riforma fa parte del pacchetto di semplificazione Omnibus I, presentato dalla Commissione europea nel febbraio 2025, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la burocrazia e rafforzare la competitività delle imprese europee in un contesto economico globale sempre più complesso.
Rendicontazione di sostenibilità: platea ridotta e meno oneri
Con le nuove regole, l’obbligo di rendicontazione sociale e ambientale si applicherà solo alle imprese dell’UE con oltre 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro. Le stesse soglie varranno per le imprese extra-UE che realizzano tali ricavi nel mercato europeo, nonché per le loro filiali e succursali nell’Unione con un fatturato superiore a 200 milioni di euro.
Gli obblighi informativi vengono ridotti e la rendicontazione settoriale diventa volontaria. Un punto centrale della riforma riguarda inoltre la tutela delle imprese più piccole: le aziende soggette agli obblighi di reporting non potranno trasferire l’onere della rendicontazione ai partner con meno di 1.000 dipendenti, che non saranno tenuti a fornire informazioni aggiuntive oltre quelle previste dai regimi volontari.
Per supportare l’attuazione delle nuove norme, la Commissione istituirà un portale digitale europeo con linee guida, orientamenti normativi e modelli standardizzati.
Dovere di diligenza: obblighi limitati ai grandi gruppi
Anche il campo di applicazione del dovere di diligenza viene ristretto. Le nuove norme si applicheranno solo alle grandi imprese con più di 5.000 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 1,5 miliardi di euro (o, per le imprese extra-UE, realizzato all’interno dell’Unione).
Le aziende coinvolte dovranno individuare e valutare i rischi di impatti negativi sulle persone e sull’ambiente lungo le proprie catene di attività, ma potranno richiedere informazioni ai partner più piccoli solo se strettamente necessario. Viene inoltre eliminato l’obbligo di predisporre Piani di Transizione climatica che attestino la compatibilità del modello di business con la transizione verso un’economia sostenibile.
Le imprese che non rispetteranno correttamente le norme potranno essere perseguite a livello nazionale e incorrere in sanzioni fino al 3% del fatturato netto mondiale. L’entrata in vigore della direttiva sul dovere di diligenza è fissata al 26 luglio 2029.
Le critiche: “un arretramento sulla finanza sostenibile”
Accanto alla soddisfazione espressa dalle istituzioni europee, non mancano le critiche. Il think tank ECCO – il think tank italiano per il clima, un’organizzazione indipendente che analizza le politiche pubbliche su clima, energia e finanza sostenibile, parla di un passo indietro dell’UE sulla finanza sostenibile.
Secondo ECCO, le modifiche approvate, pur motivate dall’esigenza di semplificazione normativa, rischiano di indebolire due strumenti chiave della strategia europea: il reporting di sostenibilità e la due diligence climatica. In particolare, la cancellazione dell’obbligo di implementare i Climate Transition Plans (Ctp) viene vista come un elemento critico, perché priva il sistema di uno strumento in grado di garantire l’effettiva attuazione delle strategie di decarbonizzazione, anche nei settori più emissivi come la manifattura e l’oil & gas.
Rischi per Pmi e accesso ai capitali
Secondo ECCO, la riduzione degli obblighi informativi potrebbe avere effetti negativi soprattutto per le Pmi, che rischiano di trovarsi meno attrezzate a dimostrare le proprie performance Esg in un contesto in cui l’accesso alla finanza è sempre più legato a criteri di sostenibilità e gestione del rischio climatico.
“Banche, investitori e autorità di vigilanza hanno bisogno di dati affidabili e piani di transizione credibili per valutare i rischi e allocare capitale”, afferma Beatrice Moro, Senior policy advisor per la Finanza sostenibile di ECCO. “Indebolire gli obblighi su reporting e Piani di transizione non riduce realmente i costi per le imprese, ma aumenta il rischio di esclusione dall’accesso alla finanza e dai mercati per chi non è in grado di dimostrare una traiettoria credibile verso la neutralità carbonica”.
Prossimi passi
Il testo dovrà ora essere adottato formalmente anche dal Consiglio. Una volta pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, l’aggiornamento entrerà in vigore dopo 20 giorni. Il confronto tra esigenze di competitività e ambizioni climatiche resta aperto e continuerà a segnare il dibattito europeo su sostenibilità e crescita economica nei prossimi anni.

