Una produzione di 4 milioni di tonnellate annue fa capo a una supply chain ancora poco trasparente
Quella del cacao è una coltura da reddito da cui dipende la sopravvivenza di 14 milioni di persone nel mondo, racconta su Procurement Leaders l’International Cocoa Initiative (Ici). La maggioranza dei coltivatori di cacao vive in Africa occidentale, regione da cui proviene il 70% della produzione globale di questo alimento.
Circa quattro milioni di tonnellate di cacao vengono prodotte ogni anno per rispondere alla domanda di miliardi di consumatori. Tuttavia, l’impiego di lavoro minorile all’interno dell’industria del cacao e, più in generale, tra i piccoli agricoltori africani è molto diffuso: si stima che, in Côte d’Ivoire e Ghana, 2.1 milioni di bambini, o un bambino su tre tra quelli che vivono vicino alle piantagioni di cacao, lavorano in condizioni inaccettabili.
La maggioranza dei piccoli agricoltori vive al di sotto della soglia di povertà, con meno di un dollaro statunitense al giorno. Lavorano duramente a monte di una supply chain frammentata e complessa. Per quanto riguarda le comunità che coltivano il cacao, come molte altre comunità rurali nella regione, gli agricoltori hanno un accesso limitato a servizi fondamentali quali l’educazione, l’acqua pulita, la salute, l’igiene e le infrastrutture stradali. Di conseguenza, molti di loro non hanno alternative a portare i propri bambini come aiuto nella coltivazione, spesso in condizioni rischiose o a scapito della loro istruzione.
Un cambiamento è necessario
L’industria del cacao si trova a cavallo di un momento delicato nella relativamente breve storia della responsabilità sociale d’impresa. I nuovi requisiti obbligatori (come il Uk Modern Slavery Act del 2015) e le linee guida volontarie (come i Guiding Principles on Business and Human Rights delle Nazioni Unite del 2012) stanno spingendo le imprese a cambiare il modo in cui gestiscono le operations e a guardare più in profondità nelle proprie supply chain. Le aziende sono sempre più disposte a prendersi l’impegno di affrontare problemi come il lavoro minorile e, soprattutto, di contribuire alla soluzione.
È un dato generalmente accettato che i giorni in cui le aziende potevano nascondere la testa sotto la sabbia sono contati. Ma queste sofisticate definizioni di due diligence, sommate alle crescenti richieste di trasparenza e di informazioni pubbliche, portano rischi significativi per le aziende quando le aspettative di “full compliance” o “limpidezza assoluta” abbondano.
Piattaforme collaborative come l’Ici aiutano a ridurre questo rischio, fornendo solidarietà e la forza dei numeri. Ici lavora con una varietà di stakeholder che include l’industria del cacao, le comunità agricole e i governi dei paesi produttori.
Impegno e apprendimento collettivo possono dare vita a buone pratiche
Cosa si può imparare dal caso dell’industria del cacao? Un primo passo verso l’eliminazione del lavoro minorile nelle supply chain è capirne la definizione, l’entità e le cause, e impegnarsi pubblicamente a contrastare il problema. Risk e situational assessment possono aiutare a comprendere l’impatto del rischio legato al lavoro minorile.
Di per sé, le aziende sono più equipaggiate per mitigare questi rischi, costruendo sistemi interni per identificare, riportare e porre rimedio ai casi di lavoro minorile. Le aziende oggi possono ideare e implementare iniziative focalizzate sui bambini e avventurarsi oltre le proprie operazioni core per impegnarsi direttamente in programmi di sostenibilità. L’efficacia e l’impatto di questi interventi sociali devono essere monitorati, misurati e riportati in modo trasparente.
Partnership di mediazione con gli stakeholder principali sono a loro volta importanti. Ridurre i fattori di rischio per lo sviluppo dei bambini è qualcosa che va oltre la capacità di una qualsiasi azienda o supply chain. Le imprese dovrebbero unirsi in coalizioni per veicolare un reale progresso, come è accaduto con CocoaAction, che include aziende come Barry Callebaut, Blommer, Cargill, Ferrero, The Hershey Company, Mars, Incorporated, Mondelēz International, Nestlé, e Olam.
L’apprendimento collettivo rappresentato dai modelli composti da più stakeholder permette agli altri di osservare l’esperienza di aziende o servizi pionieri che hanno testato specifici progetti innovativi. Queste pratiche aiutano gli altri attori sul mercato a valutare sia gli impatti positivi che gli effetti negativi, e definire così collettivamente un buon metodo. Tutto questo è ancora più efficace e credibile quando i soggetti impegnati nel processo di apprendimento collettivo includono stakeholder esterni al mondo corporate ed esperti, la comunità di sviluppo e i governi dei paesi produttori e consumatori.