Tra polemiche e attese, la Conferenza delle parti sul cambiamento climatico svoltasi in Egitto ha fatto emergere le preoccupazioni principali degli stati legate ad ambiente e sostenibilità: la crisi energetica, la mitigazione, una giusta e equa transizione, i diritti umani, la crisi alimentare.
Di quest’ultimo punto si parla ormai da tempo, e anche nell’intervista a Richard Wilding uscita per il focus del nostro magazine di ottobre veniva, dal professore esperto di Supply Chain della Cranfield University, descritta come il prossimo shock di cui occuparsi (finora relegato a preoccupazioni dei paesi del Sud del mondo, in particolare del continente africano).
Le preoccupazioni
Il riconoscimento della crisi alimentare globale è pressoché unanime e legato anche agli impatti dei cambiamenti climatici, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Ed è significativo che il cibo ha ricevuto una menzione forte alla Cop27. L’alimentazione e l’agricoltura sono fattori fondamentali per la crisi climatica e per combatterla, ma le persone che cercano di sollevare tali questioni hanno faticato a far sentire la propria voce negli anni.
Complice, ancora una volta, la guerra tra Russia e Ucraina, si è iniziato anche a parlare di alimentazione a causa della possibilità di aumento del costo delle materie prime di base, come grano, orzo, mais e olio di girasole. Nei paesi in via di sviluppo, questi sono alimenti di base sono essenziali mente per quelli sviluppati sono ingredienti chiave che guidano il costo di gran parte del cibo.
Tuttavia, un elemento legato al cibo riguarda certamente anche la sostenibilità chiamando in causa fattori come l’alto consumo di carne o la produzione di cibi fortemente legata a un dispendio idrico considerevole. Ma il problema alimentare resta legato principalmente al sud del mondo e dipende in larga parte dagli effetti del cambiamento climatico e dalla dipendenza dei paesi che hanno subito questi anni di interruzioni nella supply chain.
Figura 1. La popolazione in crisi (IPC/CH fase 3 o superiore) o equivalente è quasi raddoppiata tra il 2016 e il 2021. Fonte: 2022 Global Report On Food Crisis
Procurement internazionale
Ogni giorno, il World Food Programma (WFP) coordina una media di 5.600 camion, 50 spedizioni oceaniche, 92 aerei e una rete di 650 magazzini per fornire assistenza alle persone che vivono negli angoli più insicuri e inaccessibili del mondo.
Il WFP lavora con il settore pubblico e privato locale, rafforzandolo, per comprendere le dinamiche economiche, la burocrazia e trovare soluzioni appropriate per ogni contesto e adattarsi alle mutevoli circostanze.
Il WFP guida anche il Logistic Cluster, una struttura che assicura il coordinamento logistico, la gestione delle informazioni e la facilitazione di servizi logistici condivisi come lo stoccaggio e il trasporto. Attivato per la prima volta al momento della risposta al terremoto in Pakistan nel 2005, il Cluster ha supportato la risposta logistica per oltre 50 operazioni di emergenza, tra cui, più recentemente, in Africa occidentale (crisi di Ebola), Nepal, Yemen e Ucraina.
A maggio, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gutierrez ha avvertito dello “spettro di una carenza alimentare globale che potrebbe durare per anni”. Ha continuato dicendo che il numero di persone in una situazione di insicurezza alimentare raggiungerà in futuro i 1,16 miliardi. Chiunque nel settore degli acquisti che si approvvigiona direttamente di questi prodotti o ne dipende dovrebbe guardare ora agli scenari di pianificazione futuri.
Errori e soluzioni
Secondo Jonathan O’Brien, di Positive Purchasing, nel procurement sono state sviluppate relazioni bilaterali con fonti chiave, garantendo l’approvvigionamento attraverso la costruzione di relazioni e lavorando a stretto contatto con i produttori. Una buona pratica, a condizione del funzionamento dei mercati. Il problema è, secondo O’Brien, il fatto di non prevedere un piano B. Invece di stabilire una doppia fonte, sono state costruite relazioni e canali di approvvigionamento unici a livello aziendale e nazionale.
Ma c’è ancora modo di cambiare. Ad esempio, facendo uso di prodotti sostituti. Circa il 10% dei cereali e il 18% degli oli vengono usati oggi per produrre biocarburanti che, in tempi normali, è una scelta ecologica. Ma in questo momento, afferma ancora O’Brien, quei beni servono per nutrire le persone. In questo senso, alcuni paesi scandinavi hanno già cambiato le loro normative.
Quello che è certo è che la base di approvvigionamento sarà altamente volatile. I professionisti del procurement dovrebbero spingere per questo cambiamento. Nel settore alimentare, questo sarà fondamentale. Il mondo difficilmente tornerà come prima, motivo per cui sarà necessario pianificare gli scenari e pensare a ciò che potrebbe accadere, costruendo delle alternative, cambiando i modelli di approvvigionamento attraverso una profonda conoscenza del mercato e delle dinamiche geografiche globali.