Alcune aziende stanno riducendo i programmi di diversità, equità e inclusione per ragioni economiche e politiche, nonostante la loro crescente importanza. Tuttavia, la classifica Best Workplaces for Diversity, Equity & Inclusion 2024 evidenzia le imprese eccellenti per inclusione e meritocrazia sottolineando l’importanza di questi aspetti.

Il trend contemporaneo

Il tema della diversità, equità e inclusione (Dei) ha guadagnato un’importanza crescente nel contesto aziendale, soprattutto negli Stati Uniti, dove molte imprese hanno implementato strategie e programmi volti a promuovere un ambiente di lavoro più inclusivo. Tuttavia, negli ultimi anni, si è verificato un cambiamento significativo: diverse aziende stanno iniziando a ridurre o abbandonare completamente questi programmi e una delle ragioni principali di questo cambiamento sembra essere legata a questioni economiche, come la necessità di tagliare i costi o la percezione che i programmi Dei non offrano un ritorno sugli investimenti immediato.

Oltre alle questioni finanziarie, un altro fattore che ha contribuito a questo cambio di rotta è il clima politico e culturale. Alcune aziende hanno subito pressioni da parte di gruppi esterni o interni contrari a queste iniziative, accusando i programmi Dei di essere divisivi o di promuovere un’agenda politica specifica. Questo ha portato diverse imprese a rivalutare l’efficacia dei programmi di diversità, equità e inclusione, riducendone l’enfasi o annullandoli del tutto.

La valutazione delle aziende

Il rating delle imprese in base alle loro politiche di Dei ha acquisito un’importanza crescente negli ultimi anni, con agenzie e investitori che tengono in considerazione queste politiche nella valutazione delle aziende. Questo approccio si è esteso anche a classifiche specifiche, come il Corporate Equality Index (Cei), che valuta le aziende in base alle loro politiche a favore della comunità Lgbtqi+. Le prime aziende ad aver avviato policy di Diversity equality e inclusion sono proprio quelle americane. Negli Stati Uniti, ad esempio, è nato Il Corporate Equality Index (Cei), un sistema di valutazione ideato per certificare le aziende più inclusive nei confronti delle persone lgbtqia+. A idearlo è stata l’associazione Human Rights Campaign, la più grande organizzazione statunitense a difesa delle persone della comunità lgbtqia+.

Inizialmente, molte aziende hanno visto i loro punteggi di Dei come un modo per attrarre talenti e investimenti, dato che molte persone, specialmente le nuove generazioni, tendono a preferire aziende socialmente responsabili. Tuttavia, negli ultimi tempi, si è assistito a un cambiamento di approccio, con alcune imprese che stanno disinvestendo in queste iniziative. La percezione che il Dei possa avere un impatto limitato sul bilancio o che non sia sempre in linea con gli interessi degli azionisti ha spinto alcune aziende a prendere le distanze da queste pratiche. Questo cambiamento di direzione, pur non universale, suggerisce un ripensamento più ampio sulle priorità aziendali e sul ruolo che la diversità e l’inclusione dovrebbero giocare nel futuro del business.

È la fine della Dei?

Harley Davidson il 19 agosto ha annunciato di “non aver più un programma Dei già da aprile 2024, di non essersi prefissata quote di assunzione di nessun tipo e di non seguire alcun principio di diversity nella selezione dei fornitori”. Marchi come Harley Davidson, John Deere, Jack Daniel’s e Ford sembra abbiano preso questa posizione in risposta a un attacco sui social media da parte di gruppi organizzati di radice repubblicana, che hanno accusato il brand di discriminare i dipendenti sulla base di queste politiche, e per non volersi più esporre su temi considerati polarizzanti.

Le iniziative di diversity, equity e inclusion non si riassumono con il concetto di quote, ma anche con formazione, rappresentazione e ascolto delle minoranze. Per quanto necessarie, le politiche Dei rischiano di essere adottate senza una vera strategia e senza che siano integrate in un processo di cambiamento organizzativo. È evidente come all’interno della società ci siano degli squilibri e le opportunità di accede a posizioni lavorative dignitose e di prestigio non sia equamente garantita a tutte le classi sociali e le etnie. L’obiettivo di queste politiche è ridurre le disuguaglianze e non quello di discriminare, come ingiustamente viene fatto credere. Gli effetti a lungo termine di queste politiche (e dell’abbandono) su dipendenti, clienti e società sono ancora da dimostrare e in larga parte dipendono da quelli che sono i clienti di riferimento delle aziende.

Un trend che resta stabile

Nonostante questi dietrofront però il trend risulta stabile, come racconta la classifica Best Workplaces for Diversity, Equity & Inclusion 2024 stilata da Great Place to Work, che premia 20 aziende che eccellono per politiche di diversità, equità e inclusione (DEI). Queste imprese sono solo il 7% delle 288 esaminate e si distinguono per il fatto che l’87% dei loro dipendenti considera l’ambiente di lavoro inclusivo. Le aziende premiate sono di dimensioni varie, da medie a grandi, ma prevalgono quelle del settore servizi, specialmente in IT e finanza.

Le aziende in classifica mostrano risultati eccellenti su diversi fronti: l’84% dei dipendenti riconosce l’equità retributiva e la meritocrazia, l’88% valuta positivamente il bilanciamento tra vita lavorativa e privata, e il 90% ha buone relazioni con i manager. Sul tema dell’inclusione, il 93% dei dipendenti si sente valorizzato e rispettato, mentre il 95% riconosce un trattamento equo, indipendentemente da genere, orientamento sessuale ed età. Rispetto alle aziende non premiate, il divario è più evidente sui temi della meritocrazia, dell’innovazione e della soddisfazione lavorativa. Le aziende vincitrici sono inoltre capaci di rispondere ai bisogni di tutte le generazioni, gestendo con successo la diversità interna.