Nel cuore della primavera 2025, l’economia globale è tornata a tremare. Il Presidente statunitense Donald Trump ha rilanciato la sua politica protezionista annunciando nuove, pesanti misure tariffarie: aumento dei dazi sulle importazioni cinesi al 125% e sospensione di 90 giorni sulla maggior parte dei dazi specifici per paese, lasciando però in vigore un’imposizione del 10% su quasi tutti i partner commerciali, inclusi molti paesi europei.

Secondo il Segretario al Tesoro Scott Bessent, queste misure mirano a “dare spazio ai negoziati” con oltre 75 Paesi che hanno contattato la Casa Bianca per avviare trattative commerciali. In cima alla lista: Giappone, Vietnam, Corea del Sud e India. Tuttavia, l’escalation con la Cina si fa sempre più dura: Pechino ha reagito con un’imposizione dell’84% sui beni americani, alimentando un pericoloso effetto domino.

La Cina risponde colpo su colpo: i dazi raggiungono livelli record

La guerra commerciale tra le due superpotenze ha ormai assunto dimensioni storiche. Dopo i nuovi aumenti annunciati da Trump, i prodotti cinesi arrivano a subire un dazio cumulativo del 125%, mentre le contromisure di Pechino portano il totale delle tariffe statunitensi al 104%, rendendo sempre più difficile per le imprese operare con prevedibilità.

Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), ha lanciato l’allarme: “Questo gioco di ritorsioni tra Stati Uniti e Cina potrebbe causare una riduzione fino all’80% del commercio bilaterale, con un impatto sul PIL globale reale del -6,8%.”

Europa nel mirino: il lusso trema, il vino sotto assedio

Le ripercussioni si sono fatte sentire anche nel cuore dell’Europa. I mercati azionari sono scivolati bruscamente, con forti vendite nei settori più esposti al commercio internazionale: moda, lusso, automotive e logistica.

LVMH, Kering, Burberry e Pandora hanno registrato perdite tra il 6% e il 14%, colpite dalla duplice vulnerabilità: produzione delocalizzata in Asia e domanda statunitense in calo. Nel frattempo, il colosso danese della logistica Maersk ha perso il 9%, segnalando preoccupazioni crescenti sul rallentamento del commercio globale.

Ma è il settore vinicolo europeo a trovarsi sull’orlo del baratro. A marzo, Trump ha minacciato un dazio del 200% su vini, champagne e liquori europei, in risposta ai dazi UE sul whiskey americano. Anche se l’UE ha poi escluso i prodotti alcolici americani dalle proprie misure di ritorsione, la tensione resta alta.

Gabriel Picard, presidente della Federazione francese degli esportatori di vini e spiriti, ha definito la minaccia statunitense “un colpo di martello”, con possibili danni da miliardi di euro all’anno.

Italia: tra vino e manifattura, un rischio sistemico

In Italia, le preoccupazioni aumentano. Il comparto vinicolo, con oltre 2 miliardi di euro di export verso gli USA, rischia pesanti contraccolpi se la minaccia di dazi del 200% dovesse concretizzarsi. A essere coinvolti sarebbero migliaia di aziende, spesso PMI, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord.

Ma non è solo il vino a soffrire: abbigliamento, calzature, arredo e meccanica leggera — pilastri del Made in Italy — sono direttamente esposti alla volatilità commerciale. L’industria italiana, fortemente integrata nelle filiere europee e globali, è tra le più vulnerabili a un irrigidimento delle condizioni di scambio. Secondo Confindustria, “l’Italia rischia di perdere oltre 120.000 posti di lavoro se la guerra commerciale dovesse protrarsi oltre il 2025, colpendo le esportazioni nei mercati chiave.”

La risposta dell’Unione Europea: ritorsione calibrata

Mercoledì 9 aprile, i Paesi membri dell’UE hanno approvato un pacchetto di contromisure per un valore di 21 miliardi di euro, includendo dazi del 25% su prodotti come motociclette, frutta, pollame e abbigliamento. Tuttavia, vini e champagne sono stati esclusi, per evitare di innescare una rappresaglia diretta dagli Stati Uniti.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato: “L’Unione non intende alimentare una spirale distruttiva di protezionismo, ma difenderà i propri interessi strategici con fermezza.”

Il conto della guerra commerciale: chi pagherà davvero il prezzo?

Il ritorno del protezionismo in stile Trump ha riacceso una dinamica globale fatta di muri, sospetti e blocchi doganali. In gioco non c’è solo il commercio, ma la sostenibilità di un ordine economico aperto e multilaterale, già indebolito da pandemia, guerre e crisi energetiche.

Per l’Europa e per l’Italia, la sfida è epocale: resistere al colpo immediato e ripensare strategicamente le proprie dipendenze esterne, investendo su autonomia industriale, digitalizzazione e nuove alleanze geopolitiche.

Il rischio? Che i veri sconfitti siano ancora una volta le imprese, i lavoratori e i cittadini comuni, mentre le superpotenze giocano a braccio di ferro su un tavolo globale sempre più instabile.