Lo rivela un sondaggio europeo promosso da Changing Markets Foundation e Clean Clothes Campaign
La sostenibilità delle aziende sta diventando sempre più un elemento discriminante per i consumatori e questo avviene in diversi settori, da quello alimentare a quello dell’abbigliamento. Un mercato, quello della moda, che secondo Statista arriverà al valore di 42 miliardi di dollari nel 2020. I brand sono sempre più chiamati, perciò, a rendere conto dell’impatto che ha il proprio business sull’ambiente, nonché della salute e delle condizioni dei lavoratori.
A conferma di questo fatto giunge un sondaggio effettuato da Ipsos Mori per conto di Changing Markets Foundation, che collabora con le ONG realizzando campagne per spingere l’opinione pubblica verso un’economia più sostenibile, e Clean Clothes Campaign, un’alleanza globale che si occupa del miglioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori della filiera dell’abbigliamento. L’indagine è stata condotta a ottobre 2018 a livello europeo, con 7.701 interviste a consumatori adulti in sette paesi: GB, Usa, Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna.
Per quanto riguarda il nostro paese, è emerso che solo due italiani su dieci (22%) ritengono che l’industria informi adeguatamente i consumatori riguardo all’impatto produttivo sull’ambiente e sulla popolazione e otto su dieci (82%) ritengono che i marchi debbano fornire informazioni sugli obblighi assunti e le misure adottate per ridurre l’inquinamento.
Secondo il sondaggio, inoltre, due italiani su tre (64%) dichiarano di non essere disposti a comprare articoli di abbigliamento da marchi la cui produzione è associata all’inquinamento e addirittura il 72% (i tre quarti degli italiani) pensa che i marchi di abbigliamento debbano assumersi la responsabilità di ciò che avviene nelle loro catene di produzione e distribuzione e debbano garantire che i loro articoli siano prodotti in maniera ecosostenibile. Per quello che riguarda le condizioni di lavoro e di salario ben otto italiani su dieci (78%) considerano importante che i marchi dell’abbigliamento dichiarino in maniera trasparente se i dipendenti che lavorano nelle proprie filiere ricevono un salario dignitoso e il 58% sostiene che non comprerebbe prodotti da un marchio che non paga i giusti compensi.
«Si tratta dell’indagine di mercato più approfondita mai realizzata relativa alla percezione da parte dei consumatori degli standard ambientali e lavorativi nell’industria dell’abbigliamento. L’indagine rivela che i consumatori si aspettano che i marchi si assumano la responsabilità di ciò che avviene all’interno delle proprie filiere e chiedono maggiore trasparenza sia per quanto riguarda le condizioni di lavoro sia per il rispetto dell’ambiente», ha dichiarato Urska Trunk della Changing Markets Foundation.
Le rivelazioni della Clean Clothes Campaign relative alle misere condizioni di lavoro nelle fabbriche in Albania e Macedonia, dove vengono prodotte le calzature cosiddette “Made in Italy” per i marchi di lusso, e ai risultati non soddisfacenti delle analisi di internal auditing relative alle condizioni di lavoro hanno causato un danno di immagine e condotto l’opinione pubblica a fare pressione affinché questa situazione cambi.
In linea generale i marchi del lusso elencati nel sondaggio non sono considerati migliori dei marchi più economici o dei rivenditori al dettaglio. Per esempio, il 10% degli italiani associa il marchio Gucci a una filiera ecosostenibile, contro il 13% di Zara e il 17% di H&M.
La viscosa, una fibra alternativa che può danneggiare ambiente e persone
La viscosa è una fibra vegetale che sta diventando un’alternativa sempre più diffusa al cotone o ai prodotti sintetici. Ma la produzione di questo materiale necessita di sostanze chimiche tossiche che hanno effetti nocivi documentati sull’ambiente e sulla salute delle persone, se non debitamente controllate. Più di 303mila consumatori dell’Ue hanno firmato una petizione lanciata da WeMove per chiedere all’industria dell’abbigliamento di impegnarsi nella produzione di viscosa pulita.
L’indagine Ipsos Mori ha anche rivelato che il 71% degli italiani concorda sul fatto che i marchi dell’abbigliamento dovrebbero fornire informazioni sui loro produttori di viscosa e il loro impatto sull’ambiente. Secondo il rapporto della Changing Market Foundation Dirty Fashion: on track for transformation, i brand del lusso italiani quali Gucci, Prada e Fendi sono stati inclusi tra i marchi peggiori per quanto riguarda la viscosa, accanto a rivenditori al dettaglio della fascia più bassa come Lidl e Asda.
Salari bassi: i consumatori chiedono più informazione
Sempre secondo il sondaggio di Ipsos Mori, più della metà dell’opinione pubblica italiana (54%) ha la sensazione che l’industria della moda paghi salari troppo bassi ai lavoratori delle proprie filiere e due terzi (67%) ritiene che sia difficile sapere con certezza se gli articoli di abbigliamento che acquistano rispettano gli standard etici più alti.
«I consumatori non sono più disposti a comprare prodotti di quei marchi che non pagano salari dignitosi», dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. «Se l’industria dell’abbigliamento non si decide ad agire concretamente, convertendo la produzione verso una maggiore sostenibilità e legalità, è giunta l’ora che lo facciano direttamente i governi».