Nel G20 di Nuova Delhi i leader di Unione Europea, Italia, Francia, Germania, Mauritius, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti e soprattutto India hanno sottoscritto un accordo che collegherà le infrastrutture dall’Asia meridionale all’Europa, passando per il Medio Oriente: l’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC).
Una strategia che si inserisce in quel fenomeno chiamato Railway Diplomacy, ovvero l’utilizzo di infrastrutture portuali e ferroviarie come strumento di politica estera e di sviluppo dei propri interessi. Uno scenario che potrebbe cambiare le supply chain globali per come le conosciamo.
La notizia in dettaglio
Secondo il memorandum d’intesa IMEC stabilito al G20, verrebbero istituiti due corridoi, uno che collegherà l’India al Golfo Persico e uno settentrionale che collegherà il Golfo Persico con l’Europa. L’IMEC può essere letta come iniziativa avente lo scopo di contrastare i massicci investimenti della Cina nelle infrastrutture globali.
Il memorandum mira infatti ad aumentare il commercio ferroviario tra India ed Europa, fino al 40%, integrando in questo commercio i Paesi del Golfo Persico ma anche il principale alleato euroatlantico in Medio Oriente, ovvero Israele. La decisione è stata accolta in modo molto positivo dagli Stati Uniti, interessati a contrastare la proattività della Cina in Eurasia. E può essere letto come un successo dell’India, paese che ha tutta la volontà di svolgere un ruolo di primo piano nel contesto regionale e non solo.
Implicazioni e cambiamento storico
Questo progetto infrastrutturale nasce dall’esigenza dell’India di contrastare gli interessi di Pechino in Medio Oriente, che si sono espressi in un accordo con l’Iran e nella mediazione tra Teheran e Ryadh. Quanto ai Paesi del Golfo invece emerge la volontà di creare collegamenti che spingano ulteriormente la loro ascesa e la loro presenza in scenari regionali e internazionali collegandosi ai porti indiani. Come scrive Formiche, l’iniziativa rappresenta un primo passo per concretizzare la Partnerhsip for Global Infrastructure and Investments (PGII) promossa dagli Stati Uniti al 48esimo G7 dello scorso anno tenutosi in Germania.
Gli Emirati sono uno dei Paesi più esperti al mondo nella gestione logistica marittima e accordi di questo tipo, che li coinvolgono direttamente riconoscendone il peso politico-economico, contribuiscono alla proiezione di Abu Dhabi. Un altro elemento di non poco conto per quanto riguarda le supply chain globali è il passaggio da Mumbai delle spedizioni commerciali fino ai porti Jabel Ali di Dubai e Mina Zayed di Abu Dhabi. I nuovi binari nel Golfo potrebbero passare dalla Giordania e giungere da Israele verso il Mediterraneo orientale, per accedere all’Europa. Una rotta con sette giorni di vantaggio rispetto a quella via nave che dall’India risale Suez, ed è meno soggetta a rischi di ingorghi. Avere la possibilità di essere già dentro Imec è un elemento positivo anche per l’Italia, che ha una connotazione geostrategica naturalmente centrale nel Mediterraneo.
Figura 1. Le vie di transito dell’IMEC che permettono di non transitare dal Canale di Suez. Fonte: rielaborazione grafica a partire da informazioni sull’IMEC divulgate a seguito del G20.
IMEC vs Belt and Road
L’accordo IMEC dal punto di vista degli Stati Uniti segna un passo importante per controbilanciare la proattività di Pechino. Specie dopo che l’Italia è uscita dalla Belt and Road Initiative, questa via è possibile che porti a un rafforzamento dei legami tra l’Europa, il Medio Oriente e l’India, che si candida come futura grande potenza e sfida il peso politico-economico della Cina in Asia. Tuttavia, bisogna leggere questa iniziativa restando memori dell’allargamento dei BRICS (di cui fa parte appunto l’India insieme alla Cina) ai Paesi del Golfo e persino all’Egitto e ai Paesi del Corno d’Africa. Più che uno scontro tra IMEC e Belt and Road, queste iniziative, insieme all’allargamento dei BRICS, rappresentano il delinearsi di uno scenario internazionale frammentato senza veri
India, Medio Oriente, Europa da un lato. Cina, Medio Oriente, Europa, dall’altro. Così come per la Belt and Road initiative, anche a questo nuovo accordo viene richiesta una certa accountability riguardo alle proprie attività. Ciò riguarda soprattutto, per quanto riguarda gli standard europei, l’attenzione al rispetto dei criteri di sostenibilità e dei diritti umani. Due aspetti su cui gli Stati del Golfo, tra i protagonisti dell’iniziativa, stanno iniziando a lavorare ma per cui presentano gravi ritardi rispetto ad altri Paesi. In ottica aziendale questo è un aspetto da considerare con attenzione, soprattutto per evitare che si inciampi in rischi reputazionali o peggio ci si renda complici di violazioni gravi.
Sul versante cinese a breve vedremo la conferenza per il decennale della Nuova Via della Seta, che si terrà ad ottobre. La Cina ha annunciato che 90 Paesi hanno già confermato la loro partecipazione al Forum per la Cooperazione Internazionale che si terrà a Pechino. Queste occasioni economiche e diplomatiche sono sempre più aperte a diverse interpretazioni e l’unica certezza è che la globalizzazione sta prendendo strade diverse. Le relazioni internazionali degli Stati sono sempre più diversificate, alla ricerca di nuovi equilibri tra declino americano, ascesa cinese e un’Inida nel mezzo, che spinge per rapporti di forza più equi senza la necessità di una vera e propria egemonia mondiale di un paese solo (Cina o Stati Uniti che siano). In questo contesto, le catene di fornitura globali sono osservate speciali perché anche dal loro funzionamento dipenderà la riuscita delle mire in politica estera dei Paesi più ambiziosi.