Il problema dei chip sembra non arrestarsi. Tante case automobilistiche sono infatti state obbligate a chiudere o a rallentare la produzione per la mancanza di componenti fondamentali per le auto presenti nei sensori della frenata, accelerazione e accensione. A quanto pare, quella che sembrava una crisi passeggera si prolungherà per alcuni mesi e, secondo le stime, l’impatto sul settore sarà all’incirca di 52 miliardi di dollari.

Alcune case produttrici stanno decidendo di procedere con la produzione con alcune soluzioni temporanee, per esempio fabbricando modelli incompleti che non presentino tutte le caratteristiche del modello originale. Un esempio? General Motors ha annunciato settimana scorsa che alcuni suoi modelli usciranno dalla fabbriche senza il fuel management module, che gestisce la performance in termini di consumi di benzina. Un modo diverso di reagire alla crisi è quello di Stellantis che ha deciso di far proseguire la produzione del pick-up Ram 1500 ma lasciando i veicoli fermi negli stabilimenti di Warren (in Michigan) e Saltillo (Messico) fino a quando non arriveranno i chip necessari per ultimare l’assemblaggio.

Ford, invece, ha ridotto i modelli dell’F-150 e ha chiuso momentaneamente una delle sue tre linee di produzione nello stabilimento in Kentucky. Per alcuni F-150, addirittura, si è deciso di assemblarli senza funzioni base, come i tergicristalli e determinati sistemi di infotainment.  Per quanto riguarda Honda, l’azienda ha interrotto completamente la produzione di 30.000 modelli per una settimana nei suoi stabilimenti negli Stati Uniti e in Canada mentre Toyota ha deciso di chiudere lo stabilimento di Kolin in Repubblica Ceca.

La seconda crisi dell’automotive: il poliuretano

Quella dei chip non sembra essere l’unica crisi che il settore si trova ad affrontare. Le tempeste di neve che hanno interessato gli Stati Uniti a febbraio hanno causato la chiusura delle principali raffinerie di petrolio in Texas e Mississipi con conseguenze su tutta la filiera delle schiume, utili per la produzione di imbottiture per le autovetture. Un problema che potrebbe a breve rallentare o fermare la filiera delle forniture ‘just in time’ e quindi obbligare a nuovi tagli della produzione. Per il momento sembra però che questa crisi interesserà solo il mercato americano.

La risposta di Bosch alla crisi dei chip

Il colosso tedesco Bosch ha deciso di affiancare allo stabilimento di Reutlingen, entro la fine del 2021, un nuovo sito a Dresda destinato alla produzione di chip. Parliamo di un investimento di circa 1 miliardo di euro per lo stabilimento high tech che si profilerà tra le strutture più avanzate del mondo.  “Presto saranno prodotti a Dresda chip per le soluzioni di mobilità di domani e per una maggiore sicurezza sulle nostre strade e prevediamo di inaugurare la nostra fabbrica di chip del futuro prima della fine dell’anno” ha dichiarato Harald Kroeger, membro del board di Bosch.

Infatti già da gennaio sono in produzione a Dresda i primi wafer, da cui l’azienda produrrà i semiconduttori di potenza da usare in applicazioni quali i DC/DC converter nei veicoli elettrici ed ibridi. Nelle sei settimane necessarie per la produzione, i wafer sono sottoposti a circa 250 singole fasi di lavorazione, tutte completamente automatizzate e da marzo l’azienda avvierà i primi cicli di produzione di circuiti integrati altamente complessi. Nel nuovo edificio a Dresda, Bosch si concentrerà sulla produzione dei wafer con un diametro di 300 millimetri, in cui un singolo disco può accogliere 31.000 chip.  L’inaugurazione della fabbrica è in calendario per il prossimo giugno.