Secondo un report di A.T. Kearney la globalizzazione non sarebbe più il modello vincente
Negli anni ’80 e ’90 le aziende, per crescere, investivano nella globalizzazione. Recentemente, secondo l’analisi di Spend Matters, il fenomeno della delocalizzazione è stato messo sotto attacco su più fronti e il modello di business integrato localmente è diventato l’obiettivo per molte imprese.
Le pressioni arrivano da forze come la retorica politica, che sta creando numerose barriere al commercio, la preferenza dei consumatori per beni locali e personalizzati e i progressi tecnologici che cambiano le dinamiche dei modelli di business fondamentali. Perciò le aziende dovrebbero voltare le spalle alle strategie che si concentrano sulle value chain integrate a livello globale, e puntare invece sulla crescita locale in tutti i mercati, secondo uno studio pubblicato a settembre dal Global Business Policy Council di A.T. Kearney.
Per avere successo nell’era del “multi-localismo” le aziende dovranno andare oltre la decentralizzazione della produzione, afferma il report. Avendo riconosciuto questo nuovo trend, l’89% degli investitori hanno dichiarato che le loro aziende si trovano in uno degli stadi del processo di localizzazione. Circa il 40% sta assumendo talenti locali o ha deciso di aprire reparti di produzione all’interno di strutture manifatturiere dei mercati locali. Circa il 33%, inoltre, sta implementando strategie localizzate che coinvolgono il design di prodotto, la ricerca e sviluppo, l’ingresso nel mercato tramite fusioni e acquisizioni o joint venture, il marketing e l’organizzazione interna.
Fenomeni come la Brexit e l’elezione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, accompagnati dal diffondersi di sentimenti contrari all’immigrazione, alla globalizzazione e alla classe dominante, hanno portato all’incremento di barriere al commercio che molti governi in passato avevano cercato di eliminare. Si pensi all’uscita degli Usa dal Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) o alla guerra sui dazi Usa-Cina. Le prime 60 economie mondiali hanno eretto più di 60mila barriere commerciali dalla fine della Grande recessione, secondo il report.
Anche tra i consumatori si starebbe diffondendo una preferenza per i prodotti locali, insieme alla preoccupazione per l’impatto ambientale dei propri acquisti. Un’azienda come McDonald’s ha adattato i propri menu ai gusti e agli usi del posto, per esempio non offrendo carne bovina in India e includendo il totano tra gli ingredienti in Giappone. Recentemente, Nestlé ha acquistato più prodotti locali e salutari per compensare un calo delle vendite in alcuni dei propri brand conosciuti globalmente.
Per affrontare la tendenza che sembrerebbe emergere dal report, il Global Business Policy Council indica due cambiamenti di strategia che le aziende dovrebbero adottare:
- ricalibrare la propria impronta globale in base a una rivalutazione dei mercati core e a un riallineamento della propria value chain globale per adattarsi alle nuove pressioni in direzione della localizzazione;
- sviluppare ulteriormente la propria sensibilità alle tendenze di ogni mercato in cui sono presenti. I dirigenti dovranno essere costantemente a conoscenza delle condizioni locali e di come stanno cambiando, sapere come l’azienda potrà modellarsi e reagire a queste condizioni e usare queste informazioni per sviluppare visioni e strategie su misura per ogni mercato locale.
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