La gig economy, meglio conosciuta come “economia dei lavoretti”, è il nuovo panorama del lavoro, una combinazione perfetta per chi è freelance e al tempo stesso ricerca un lavoretto secondario per, come si suol dire, “arrotondare”. Questa però ultimamente sembra essere solo la teoria della definizione proprio perché sempre più piattaforme dedicate a questo stanno sviluppando un approccio più dipendente rispetto all’idea originaria. La gig economy non deve essere confusa però con la sharing economy. Quest’ultima infatti prevede una condivisione di risorse (il servizio Blablacar per esempio) mentre al contrario per la gig economy si tratta di una vera e propria prestazione lavorativa, soprannominata anche economia on demand.
Tra i benefici immediati di questa nuova economia, vi è la possibilità per chi è poco specializzato o disoccupato di sviluppare opportunità di guadagno in modo semplice e pratico. Esempi di piattaforma da tenere sott’occhio sono Upwork e Tabbid, il social network dei lavoretti, dove ognuno può offrire gratuitamente la propria prestazione. Un settore che muta e si reinventa quello del lavoro, come conferma McKinsey in una sua analisi in cui afferma che entro il 2025 più di 540 milioni di persone potranno beneficiare delle opportunità offerte dalle piattaforme tecnologiche.
In Italia si parla di un mercato di circa 10 miliardi di euro l’anno che incrementa sempre di più proprio perché dai semplici lavoretti come fare la babysitter al montaggio di un mobile, la sfera di interesse di questa economia a richiesta si allarga e ingloba via via altre attività professionali. A questo si aggiunge l’incremento del numero di piattaforme attive in questo mercato. Esempi di questo mutamento sono fiverr.com che offre servizi di traduzione, redazione, editing audio e testo e molto altro e ProntoPro, a cui rivolgersi se alla ricerca di un professionista in quasi ogni settore dall’idraulico al muratore, dall’IT manager al PR manager.
Gig economy e coronavirus
L’arrivo del lockdown ha provocato un calo della domanda pari al 60% ma con la ripresa i livelli sono cresciuti equiparandosi quasi a quelli pre-crisi. Questo Covid-19 ha di certo portato a un beneficio, l’accelerazione dell’alfabetizzazione digitale degli italiani di almeno 3 anni. Come confermano i dati di Netcomm Forum, nei primi mesi del 2020 il commercio online ha visto un incremento solo in Italia di 2 milioni di nuovi consumatori, di cui 1,3 sono arrivati alle piattaforme d’acquisto digitale durante l’emergenza sanitaria.
Durante l’emergenza il lavoro agile è diventato una necessità e anche le realtà più riluttanti hanno cominciato a scoprirne i benefici, utilizzando in maniera massiccia piattaforme digitali per riunioni, webinar, eventi e molto altro. Si potrebbe quasi dire che lo sviluppo del lavoro agile e dello smart working abbia aperto la strada a una diversa considerazione della gig economy, una risorsa preziosa per la sua attitudine alla flessibilità e all’agilità.
Un settore in crisi?
Complice il commissariamento di Uber Eats Italia per caporalato, la gig economy potrebbe aver subito un leggero arresto dopo che aveva illuso molti di diventare finalmente capo di se stesso grazie alla tecnologia. Si tratta però di punti di vista, dal momento che per molti freelance è una vera e propria salvezza: anche prima della pandemia ha aiutato milioni di persone a guadagnarsi da vivere. In Cina per esempio rappresenta il 15% – circa 110 milioni di persone – della forza lavoro totale. Si prevede che tale cifra quadruplicherà entro il 2036 a seguito dei progressi nei pagamenti elettronici e nella tecnologia mobile.
In tutto il mondo, addirittura, secondo le stime di Statista, il volume lordo previsto dovrebbe raggiungere i 455,2 miliardi di dollari (1,67 trilioni di dollari) entro il 2023. L’’attuale crisi ci dimostra quanto sia essenziale l’economia gig per sostenere le nostre vite quotidiane e le nostre attività commerciali ma il dibattito sul suo valore è ancora aperto: si tratta di un’occasione di impiego innovativa o è solo un modo diverso per farsi sfruttare?