La Silicon Valley Bank, banca quotata in borsa con sede a Santa Clara in California, veniva considerata una delle banche più importanti della Silicon Valley. La banca di quasi la metà di tutte le startup statunitensi sostenute da venture capital, comprese aziende grandi e piccole, da Roku a Compass Coffee, Circle, Roblox, Etsy, Pharming Group e Vox Media. Alla fine di dicembre, deteneva circa 209 miliardi di dollari di attività totali.
L’8 marzo ha rivelato di aver venduto 21 miliardi di dollari di attività per il bisogno di liquidità. Il 12 marzo 2023 è stata dichiarata insolvente. Il secondo più grande fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti dopo quello di Washington Mutual nel 2008, secondo il Washington Post.
Crollo e salvataggio
“Sicuramente c’è stato un problema di gestione da parte del management, ma anche delle agenzie di rating e della sorveglianza della Fed di San Francisco”, afferma Mario Del Pero, Professore di Storia Internazionale all’Università Sciences Po di Parigi ed esperto di Stati Uniti. “Svb aveva un portafoglio conservativo che con il contesto attuale è stato controproducente, perché si è ritrovata con rendimenti dell’1% derivanti dai buoni del Tesoro americani, in un momento in cui i tassi sono al 5%. Inoltre, era troppo sovraesposta rispetto ai depositi cospicui delle startup e una volta che queste hanno iniziato a togliere miliardi in poco tempo si è manifestata la crisi”. A seguito dell’aumento dei tassi di interesse dovuto all’inflazione, il valore nominale di questi titoli è diminuito sensibilmente e la vendita successiva al bisogno di liquidità di Svb per coprire i prelievi – delle startup a loro volta con necessità di liquidità – ha allarmato i clienti che hanno incoraggiato le startup a ritirare in fretta i loro soldi, provocando una “corsa agli sportelli” virtuale.
Il governo degli Stati Uniti è intervenuto prontamente a garanzia dei depositi a seguito di raccomandazioni unanimi dei consigli di amministrazione della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) e della Federal Reserve (Fed), i principali regolatori bancari statunitensi. “Poi per l’altra banca fallita, la Signature Bank, c’è un altro tema da sollevare, perché era una banca fondamentale per le criptovalute che a seguito di quello che abbiamo visto nell’ultimo anno hanno subito un forte”, continua Del Pero.
I regolamenti post-2008 non sono serviti?
“Per quanto riguarda la Sylicon Valley si può dire ci sia stata molta libertà nella circolazione dei capitali e se da un lato era un rischio elevato, dall’altro ha permesso a persone come Steve Jobs e altri di prendersi i rischi per innovare. Comunque, a seguito della bolla speculativa dei subprime del 2007, dove praticamente le case erano una sorta di bancomat perché la bolla immobiliare le faceva valere più di quanto valessero in realtà concedendo prestiti inverosimili, ora la situazione è diversa”, sostiene Del Pero. “Con la legge Dodd-Frank, voluta nel 2010 dall’amministrazione Obama, sono stati posti dei vincoli più stringenti per le banche. La stessa è stata certo indebolita da Trump ma resta in vigore. Il problema della società americana oggi è anche il basso indice di risparmi, che si aggirava su doppie cifre percentuali negli scorsi anni mentre oggi è sotto il 3%. Questo dimostra maggiore fragilità strutturale se comparato con l’indice di risparmio cinese che è al 30%”.
Non ci troviamo di fronte a una crisi analoga a quella del 2007-2008 perché oggi c’è più consapevolezza di quello che abbiamo di fronte. “Oltre alla maggiore consapevolezza esistono anche maggiori strumenti da parte delle autorità. Se nel 2007-2008 ci fosse stato un intervento così pronto come quello che vediamo oggi sarebbe stato diverso. Lo stesso si può dire con il caso di Credit Suisse, con l’intervento pronto della banca centrale Svizzera”, afferma ancora Del Pero. “Pensiamo solo che nel 2009 l’intervento in economia di Obama è stato il più importante dal New Deal, ma nella fase della pandemia l’intervento nell’economia da parte di Trump e Biden è stato ampiamento superato, di tre/quattro volte. Lo stesso vediamo in Unione Europea con gli interventi della Banca centrale e con il Pnrr”.
Quindi, anche se i rischi di contagio esistono e il panico è reale, una crisi finanziaria globale potrebbe essere scongiurata e non ci sarebbe un rischio sistemico. Seppure un colosso, Svb è enormemente più piccola delle banche che fallirono nel 2008. Certo Svb rappresenta un soggetto strategico per i venture capitalist impegnati nel finanziare l’innovazione tecnologica nel cuore degli Stati Uniti e questo spiega – insieme ai timori di contagio sistemico a seguito del fallimento – perché le istituzioni governative si siano affrettate ad annunciare un sostanziale salvataggio della banca.
Regionalizzazione delle catene di fornitura e procurement
“L’impostazione ora è quella di un ripensamento della globalizzazione in senso più regionale. Va detto che noi sentiamo molto parlare di Cina ma ad oggi esiste una forte integrazione transatlantica tra Europa e Stati Uniti. Il 60% degli investimenti esteri americani vanno verso l’Europa che a sua volta è molto legata al continente americano”, continua il professore di Sciences Po. “Tuttavia, se si pensa alla catena di fornitura di un’azienda come Apple non si può non considerare che è profondamente integrata con l’Asia e con la Cina. Un cambiamento in questo senso non sarà facile, perché anche le camere di commercio negli Stati Uniti non sono necessariamente favorevoli a un eccessivo cambio di rotta, che in ultima istanza sarebbe pagato dai consumatori”.
Questa crisi tocca tangenzialmente anche il tema del procurement, che può trarre degli insegnamenti soprattutto sulla prevenzione di situazioni analoghe. Intanto, il risk management della banca non è stato efficace nell’identificare le possibili minacce al suo operato derivanti dall’alta inflazione e dal rialzo dei tassi di interesse, come ha confermato il prof. Del Pero. La gestione del rischio è una parte vitale anche nel procurement. Questa crisi sottolinea quindi la necessità di adottare strategie solide come considerare la stabilità finanziaria dei fornitori e le banche a cui si affidano, i termini di pagamento nei contratti, la visibilità della supply chain ma anche la diversificazione dei fornitori, per evitare che l’impatto di una crisi di questo tipo comprometta fornitori vitali e insostituibili.
Se certo esistono eventi poco prevedibili e cigni neri, la preparazione nei confronti di numerosi scenari diversi con piani di business continuity e disaster recovery è la chiave per rialzarsi nel caso di un duro colpo, sia esso di impatto locale, regionale o globale. A maggior ragione, se consideriamo la possibilità di vedere un futuro sempre più marcato dalle considerazioni di rischio politico e di una riscrittura delle logiche della globalizzazione in senso regionale.