Dopo oltre 7 mesi di Covid-19, sono state molteplici le considerazioni su come le catene di approvvigionamento debbano essere meglio gestite e preparate ai momenti di stress. Secondo un articolo di Kevin Sneader  McKinsey’s global managing partner e Susan Lund, partner with the McKinsey Global Institute, negli anni si sono costruite reti di produzione dai livelli di efficienza sempre più competitivi che, al tempo stesso, sopportano appena gli errori. Una prova di questa considerazione è stato sicuramente il coronavirus, che con la sua comparsa ha completamente cambiato le carte in gioco e ha minato l’approvvigionamento del mondo intero. Lunghe e complesse supply chain instabili fino ad ora ci hanno fatto credere che tutto funzionasse regolarmente, nonostante sia ormai chiaro che, al contrario, siano esposte a possibili e continui shock.

I dati lo confermerebbero: circa l’80% del commercio mondiale si concentra in paesi con instabilità politica e gran parte della produzione è localizzata in territori soggetti ai cambiamenti climatici. Già da marzo 2020, ci siamo accorti che se un problema  colpisce una regione, il problema si trasmetterà anche agli altri elementi della catena.

Una delle evidenze principali messe in luce dai due autori è la possibilità di prevedere alcuni costi extra derivanti da brevi interruzioni della supply chain e piccole strozzature di tanto in tanto. Nello specifico, la ricerca ha evidenziato che le pause di un mese o più si verificano circa ogni 3,7 anni. In questo senso, i produttori possono aspettarsi che nel corso di un decennio, possa esserci un arresto. Ora che abbiamo effettivamente assistendo a uno stop, come si continua a ripetere da un po’ di tempo a questa parte, si deve procedere a una rivalutazione, ponendo le basi per una globalizzazione più resiliente.

Da supply chain instabili a resilienti: come agire

Se si diventa consapevoli che il rischio è dietro l’angolo, le aziende potrebbero muoversi nella direzione di regionalizzare e ristrutturare le proprie catene. Allo stesso modo, i governi stessi potrebbero promuovere la produzione interna di prodotti ritenuti essenziali per il paese. Le aziende, in ogni caso, hanno molte strategie per “proteggersi” dalle pause e per avere una maggiore visibilità oltre ai fornitori di primo livello. In primis dovrebbe esserci da parte dell’azienda la volontà a conoscere ciò che avviene in tutti gli step dell’approvvigionamento, riconoscendone le problematiche e punti critici. Inoltre, si potrebbe ridurre la complessità del prodotto per una produzione più flessibile e trattenere più denaro e inventario.

Ma se in teoria tutti sanno come dovrebbero comportarsi perché nessuno è passato alla pratica? Secondo gli autori infatti il grande problema è stato il breve termine: molte realtà non erano disposte ad anticipare denaro per future crisi ipotetiche. Grazie alla tecnologia, però, si potrà essere più produttivi e resilienti ora che le operation della supply chain sono entrate ufficialmente nella sfera di interesse dei CEO. La stabilità della catena di approvvigionamento non è solo una questione di affari ma è una questione di sicurezza per la popolazione e, per questa ragione, i governi stessi potrebbero gestire il rischio che la singola aziende potrebbe non riuscire/sapere come affrontare.

Coloro che vorranno passare da supply chain instabili a stabili dovranno affidarsi a tecnologie di produzione avanzate, contare su una forza lavoro con competenze in linea con il settore di riferimento e costruire infrastrutture digitali e fisiche.