La scorsa settimana è stato presentato il rapporto del Centro Studi Confindustria (CSC) dal titolo Catene di fornitura: tra nuova globalizzazione e autonomia strategica.
Un’analisi della trasformazione del commercio globale verso la slowbalization, tra supply chain e catene del valore soprattutto delle imprese che operano nel settore manifatturiero. Solo la fornitura di servizi intermedi sta aumentando a livello internazionale, grazie alla digitalizzazione.
Lo stato del commercio globale
Il commercio di beni nel 2022 è risalito al 25% del PIL globale, riportandosi ai livelli pre-crisi finanziaria del 2008. Secondo il rapporto l’ampiezza geografica degli scambi globali è sui livelli massimi. Due indicatori di regionalizzazione di Confindustria non evidenziano una chiara tendenza alla regionalizzazione, segnalando una stabilizzazione dell’estensione globale del commercio. È quindi presto per dire se c’è effettivamente un’inversione di tendenza, ma i segnali vanno in quella direzione con l’aumento di accordi bilaterali e regionali e un sostanziale fallimento delle politiche del WTO.
La Cina rimane primo esportatore mondiale, ma ha ridotto il peso delle esportazioni rispetto al PIL. Gli scambi dei Paesi asiatici sono sempre più globalizzati e viceversa l’industria europea rafforza la propria internazionalizzazione ma punta di più sulla componente regionale e a questo livello rimane la più integrata grazie al mercato unico e alla libera circolazione.
La globalizzazione nel lunghissimo periodo
(Scambi mondiali di beni, valori correnti, medie mobili a 5 anni, in % del PIL)
Le catene del valore
La struttura geografica dei beni di investimento e intermedi specifici, come parti e componenti, molto integrati nelle GVC, appare globalizzata e stabile nel tempo. Tra le filiere il report segnala come più regionalizzate quelle agro-alimentare e delle costruzioni e più globalizzate quelle della salute e del tessile.
Il manifatturiero europeo è collocato mediamente a valle delle filiere, perché dipende dalle commodity importate (e dai servizi nel mercato unico). Nelle catene globali del valore (GVC) l’Italia partecipa per il 35% secondo i dati del 2021. L’interazione tra fattori politici, economici e tecnologici spinge verso una frammentazione produttiva, e quindi una regionalizzazione. In calo dal 2018 la quota cinese nel mercato USA (circa -8 punti percentuali), mentre più recente e contenuto è il calo cinese nel mercato UE (oltre -2 punti dal 2020). Nonostante quanto affermato dal rapporto del CSC, secondo Bloomberg qualcosa sta cambiando e l’indice dei volumi di commercio mondiale sta calando.
Il volume del commercio globale
Fonte: CPB Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis. Bloomberg
Dipendenze critiche italiane e strategie europee
L’import di un prodotto è critico se concentrato in pochi paesi fornitori, difficilmente sostituibile con l’export o con scambi intra-area (per i paesi UE). Può essere strategico per la sicurezza nazionale, la tutela della salute, la transizione energetica e digitale; ad alto rischio politico o climatico. Per quanto riguarda l’Italia l’esposizione verso questi prodotti ha un valore del 16% sulle importazioni, si legge nel rapporto, quasi il doppio dell’esposizione in UE dalle aree extra-UE in valore. L’UE si è concentrata nell’ultimo periodo sulla riduzione delle dipendenze nei settori tecnologici e industriali ritenuti strategici, anche attraverso Green Deal e Strategia Digitale. Ma sembra mancare secondo Confindustria un congruo sostegno di strumenti e risorse comunitari, indispensabili per attivare gli investimenti necessari.
Gli Stati Uniti hanno scelto una strada diversa per i 3 provvedimenti varati tra il 2021 e il 2022 (Infrastructure Investment and Jobs Act, Chips Act e Inflation Reduction Act), che potenziano la capacità produttiva americana sia direttamente sia tramite il rafforzamento della macroregione, inducendo inoltre un ripensamento della catena dei fornitori in base all’affinità politica. I progressi cinesi, tecnologici e industriali della Cina sono legati al piano Made in China 2025, finalizzato a rendere la Cina potenza tecnologica globale entro il 2049.
Forniture e fornitori
I prodotti critici per l’industria italiana, che ammontano a circa il 61%, riguardano soprattutto le filiere delle commodity-chimica-energia, della salute e dell’ICT. Considerando invece il fattore geopolitico o climatico si vede che quasi la metà delle forniture critiche dell’industria italiana è ad alto rischio: il 49% in valore e il 46% in varietà. A causa del rischio politico medio-alto e al rischio climatico, le filiere dei trasporti, del tessile e dell’agroalimentare continuano a presentare forti criticità insieme a quella dell’ICT, dei media e dei computer.
Il report identifica l’importanza di far parte delle catene del valore globale per internazionalizzare l’export. Insieme a ciò, è sempre più importante diversificare adeguatamente i fornitori di beni intermedi. Secondo il Centro Studi di Confindustria, inoltre, il backshoring (o anche nearshoring) di alcuni fornitori – compatibile con l’offshoring della produzione – dovrebbe essere incentivato da iniziative strutturali per l’attrattività del territorio e la competitività delle imprese, che con questa pratica risultano più dinamiche. Quindi attraverso sinergie con le politiche del Green New Deal e la digitalizzazione, ricordando l’importanza delle risorse umane.