Riportiamo l’articolo completo di Diego Tavecchia, Responsabile delle Commissioni tecniche e delle Relazioni internazionali presso Assifact, pubblicato in versione ridotta sul magazine “The procurement – Donne e Procurement” (Anno 5 n.3).
Da alcuni anni, ormai, si è sviluppata la tendenza a raggruppare tutte le tecniche finanziarie (e non) finalizzate all’ottimizzazione del capitale circolante delle imprese e delle filiere all’interno della categoria “ombrello” detta Suppy Chain Finance. Nella sua accezione più ampia, essa raccoglie vari prodotti finanziari e tecniche operative, in alcuni casi prescindendo anche dalla presenza di intermediari finanziari. Ciò premesso, nell’ambito della Supply Chain Finance, il factoring (per il cluster “Receivables-centric”) e il reverse factoring (per il cluster “Payables-centric”) continuano a rappresentare le manifestazioni più comuni e frequenti, tanto da generare ancora oggi un dibattito sulla definizione stessa di Supply Chain Finance come sottogruppo del factoring (congruente al reverse factoring e al confirming) ovvero come “ombrello” che racchiude in sé anche il factoring. Sebbene nell’industria del factoring sia ancora piuttosto comune la prima visione, le istituzioni e le organizzazioni del factoring hanno ormai di fatto adottato la seconda, più ampia, visione della Supply Chain Finance, che è quindi quella a cui farò riferimento in seguito.
Allo stato attuale, anche in virtù di una tassonomia che possiamo definire “maturanda”, non vi sono ancora precise informazioni sull’effettivo ammontare delle transazioni di Supply Chain Finance nel loro complesso. È invece facilmente misurabile quella che ho anticipato essere la sua forma più frequente, ovvero il factoring.
Nel 2018 il mercato globale del factoring ha registrato ancora significativi livelli di crescita, raggiungendo volumi pari a oltre 2.500 miliardi di euro (pari al PIL di un grande Paese industrializzato). La crescita ha interessato in particolare il continente europeo, e al suo interno l‘Italia si è distinta evidenziando volumi di turnover in crescita dell’8% e prossimi ai 250 miliardi di euro. Tale cifra, che rappresenta il 14% del PIL del nostro Paese, sottolinea ancora una volta l’importanza che il comparto del factoring riveste per le imprese italiane nel supportare le scelte di capitale circolante.
Nonostante le cifre del mercato del factoring siano già oggi particolarmente rilevanti, le stime dell’Osservatorio Supply Chain Finance organizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano riguardo al mercato potenziale per la Supply Chain Finance suggeriscono una penetrazione ancora contenuta sull’intero ammontare dei crediti commerciali detenuti dalle imprese italiane, con potenzialità di crescita ancora inespresse, che stanno attirando nuovi attori e nuovi prodotti che fanno leva su nuove tecnologie, il cui impatto è ancora contenuto ma in rapida crescita, come operazioni di cartolarizzazione, aste di fatture, carte di credito ecc…
Figura 1: il mercato potenziale e servito della Supply Chain Finance
Fonte: Osservatorio Supply Chain Finance – Politecnico di Milano
Come detto, il 2018 ha rappresentato per il factoring un anno di solida crescita per tutte le variabili osservate: il turnover è stato pari a oltre 240 miliardi di euro, mentre l’outstanding è stato pari a quasi 68 miliardi e gli anticipi corrisposti a 55 miliardi. Il flusso dei crediti ceduti nel corso dell’anno è praticamente raddoppiato negli ultimi 10 anni, e il mercato si è mostrato assai resiliente agli shock esterni e alle crisi che si sono susseguite.
Figura 2: il turnover del factoring in Italia
Fonte: Assifact, dati in milioni di euro.
In Italia il prodotto più diffuso è senz’altro il factoring pro soluto, con circa il 75% del totale. La Pubblica Amministrazione è spesso coinvolta in qualità di debitore ceduto con 12 miliardi di crediti in essere alla fine del 2018 (di cui il 34% è scaduto).
Il reverse factoring (che nelle statistiche Assifact non rappresenta una categoria di prodotto a sé stante) nel 2018 ha raggiunto la cifra di 21,7 miliardi di euro, evidenziando una crescita notevole e pari al 36,22%. Proprio la crescita del reverse factoring (ovvero, il prodotto tipicamente connesso alla Supply Chain Finance) rappresenta uno dei trend di maggiore rilievo degli ultimi anni.
Figura 3: L’ascesa del Reverse Factoring in Italia
Fonte: Assifact, dati in migliaia di euro
Il turnover annuo relativo ad operazioni di reverse factoring è triplicato negli ultimi tre anni avvicinandosi al 10% del totale.
Una crescita così imponente nell’ambito di un mercato maturo quale è il mercato del factoring italiano richiede qualche riflessione su quali siano I driver della crescita di tale modello di business.
È possibile identificare alcuni fattori che possono incidere sia positivamente (“market enhancers”) che negativamente (“market killer”) sulla crescita delle operazioni di Suppy Chain Finance, ed in particolare sul reverse factoring. Essi possono essere raggruppati nelle seguenti categorie:
- Contesto legale
- Regolamentazione dell’attività finanziaria
- Tecnologia
- Mindset delle imprese
A titolo di esempio, e senza pretesa di esaustività, la Figura 4 presenta alcuni fra I principali “enhancers” e “killers” della Supply Chain Finance (ognuno di questi aspetti meriterebbe una trattazione ben più approfondita che va oltre gli obiettivi del presente articolo)
Figura 4: Fattori di sviluppo e ostacoli della Supply Chain Finance in Italia
Al fine di favorire lo sfruttamento del pieno potenziale della Supply Chain Finance e favorire lo sviluppo e l’incremento dell’efficacia delle possibili innovazioni in questo ambito appare in ogni caso opportuno il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e sovranazionali finalizzato all’eliminazione, o al depotenziamento, degli ostacoli ancora presenti e a valorizzare, con opportune politiche, quegli elementi di “contesto” che potrebbero rafforzare la penetrazione di tali prodotti in particolare sulle piccole e medie imprese italiane, ovvero coloro che spesso e (mal)volentieri sopportano il peso maggiore del capitale circolante di filiera.
A titolo di esempio, la rimozione degli ostacoli giuridici alla cessione del credito (divieto di cessione, revocatoria, rifiuto della cessione da parte delle PA ecc…) rappresenterebbe un primo, semplice passo in questa direzione. Interventi più coraggiosi possono fare leva sull’obbligo di fatturazione elettronica a vantaggio delle imprese, agevolando l’acquisizione delle relative informazioni da parte degli intermediari finanziari, eventualmente anche – in prospettiva – mediante l’uso di piattaforme non competitive che consentano l’accesso ad informazioni e servizi finanziari a fornitori e acquirenti, in un processo di “democratizzazione” delle piattaforme di Supply Chain Finance.
Diego Tavecchia è nato a Milano nel 1983 e si è laureato in Economia e Finanza Internazionale all’Università degli Studi di Milano, dove ha conseguito inoltre un Dottorato di ricerca in Management discutendo una tesi sugli effetti del factoring sulle imprese italiane. Dal 2007 lavora presso Assifact, l’Associazione Italiana per il Factoring, dove è attualmente Responsabile delle Commissioni tecniche e delle Relazioni internazionali. In quest’ambito, ha costituito e presieduto per diversi anni l’Economics and Statistics Committee dell’EUF, la Federazione europea del factoring, ed è attualmente Chairman del Prudential Risk Committee della federazione.