Perché il rapporto con i fornitori non può basarsi solo sul contratto
Riportiamo l’articolo di Mauro Conti, pubblicato sul magazine “The Procurement – Lean & Agile” (Anno 5 Numero 2)
Un buyer si alza, in mano stringe un PO firmato e gioisce delle sue otto pagine di condizioni commerciali che prevedono ogni risvolto, ogni possibilità. Un fornitore ha infine ceduto, accettando penali, fideiussioni bancarie sui pagamenti anticipati, clausole di cancellazione, ratei per eventuali costi accessori e ogni opzione con date vincolanti. Le dinamiche del mercato hanno portato chi acquista nel settore Oil&Gas a scrivere contratti sempre più vincolanti, che cercano di prevedere l’imprevedibile, ma che, a conti fatti, nella mia esperienza hanno sempre un tallone d’Achille. Ogni volta si impara qualcosa e si diventa ancor più stringenti nelle condizioni commerciali. In un circolo virtuoso o vizioso a seconda della prospettiva.
Il passato ha qualcosa da insegnarci?
Un giorno è capitato che l’azienda per la quale lavoro – per sensibilizzarci sull’importanza di avere un archivio in ordine – ci abbia invitati a scendere nei locali dove viene conservata la documentazione ed eliminare quella non più utile. In una sorta di team building, siamo stati divisi e, con i nostri guanti di lattice, siamo andati ad affrontare le montagne di carta dell’archivio. Aprendo una dopo l’altra le commesse passate, ho notato con meraviglia che, mentre io giocavo con le costruzioni, qualcuno comprava carpenterie con un fax e una sola semplice frase: “come da accordi telefonici”, seguita da un prezzo e una data. Nulla di tutto quello che oggi riteniamo importante o obbligatorio: una pagina, un riferimento a qualcosa di verbale, un numero e una data. Incredibile. Non è nostalgia del passato. Se le cose andassero ancora così, una considerevole parte delle mie competenze sarebbero inutili e così anche una buona parte del mio tempo sarebbe di nuovo libero. Io cerco la risposta alla seguente domanda: i contratti possono sostituire la fiducia?
Clausole vs fiducia
Qualcuno direbbe – ovviamente – di no, ma sembra che sempre più spesso si vada in questa direzione: una ricerca maniacale della perfezione contrattuale, dimenticando che il rapporto con il fornitore è prima di tutto un rapporto di fiducia. Come dovrebbe essere il rapporto alla base di qualsiasi contratto. Non è possibile lavorare, e ancor più collaborare, se alla base non c’è la fiducia ed è per questo che la reputazione è importante in questo mestiere. Ho sempre trovato estremamente semplicistico parlare di partnership tra due aziende in base alla misura dei volumi. Ho avuto e ho ancora fornitori che a una chiamata fanno partire il lavoro. E non perché siano convinti che la telefonata rappresenti un accordo verbale valido giuridicamente, ma perché hanno fiducia che la mia parola sia una e che non serva una lettera d’intenti, ma basti una stretta di mano.
È per questo che voglio vedere i miei interlocutori in faccia e trovo più difficile lavorare con chi non ho ancora potuto conoscere. Ovviamente questo non è sempre possibile, considerando la geografia di questo mercato, e non è mia intenzione affermare che senza essere nella stessa stanza non si possano stringere accordi e/o firmare contratti e avere collaborazioni efficaci.
Ciò che scrivo, vorrei aggiungere, non significa che io sia a favore di un processo di deburocratizzazione o deprocedurizzazione, ma vedo una progressiva complicazione di una parte dell’attività di qualsiasi ufficio acquisti. Non posso non chiedermi se questa crescente complessità sia utile, considerate le tempistiche tipiche del settore impiantistico o dei grossi appalti. Forse la via può essere smettere di vedere il processo d’acquisto come un sistema meccanico e considerarlo invece organico.
Le soft skill contano
Se noi vediamo l’acquisto di un bene come un processo meccanico, avremo un input, una sua elaborazione sempre identica a se stessa – secondo quanto richiesto dalle procedure – e un output. In questo caso l’aspettativa sarà di rendere il processo omogeneo e può funzionare in molti settori, ma forse non in quello cui appartengo.
Torniamo invece sul valore umano, sul fatto che un input può essere elaborato da diverse prospettive per trovare la soluzione che meglio si adatta al problema, in una negoziazione continua che dà valore all’ ascolto, all’ incontro tra domanda e offerta.
Seguendo questa linea di pensiero mi trovo quindi a credere che, per questo lavoro, le ancora troppo poco considerate soft skill siano la chiave di volta. Una competenza tecnica approfondita può essere sicuramente utile, ma non riesco a convincermi sia quella determinante per il successo, quando l’empatia e la capacità di capire i bisogni ricoprono un ruolo tanto fondamentale.
Così, mi capita di ispirarmi più spesso a chi, di fronte a una richiesta interna, per esempio di ulteriori sconti, prima di tornare dal fornitore si ferma e cerca di capire le reali necessità, invece che a chi, nella stessa situazione, con le proprie conoscenze di prodotto e il proprio rigore tecnico, partendo da un’offerta stima i margini a colpo d’occhio cercando, dopo, di ridurli il più possibile in una negoziazione di tipo competitivo. Dale Carnegie diceva: «Anche nelle professioni più tecniche il successo è dovuto per il 15% a solide conoscenze di settore e per l’85% a doti umane come la personalità e la capacità di farsi seguire dalla gente».
Un altro esempio lampante di questo circolo vizioso è l’uso di inviare sistematicamente una mail a conferma degli accordi verbali presi telefonicamente. Personalmente, lo trovo dispendioso in termini di tempo e poco efficace. Difficile pensare che, per argomenti realmente decisivi, non si formalizzi in un modo più efficace, impossibile credere che qualche riga scritta abbia una forza diversa da una chiamata in accordo a quanto scritto. Dobbiamo ribaltare questo modo di fare, cercando di dare valore alla parola data reciprocamente. Questa si chiama integrità e la reputazione ne è la sua diretta conseguenza.
Spostare il focus sulle relazioni di fiducia tra le persone in un mondo che corre verso l’automazione dei processi con l’intelligenza artificiale è la scelta giusta o un vaneggiamento? Io ho la convinzione che, nel settore di cui vivo, le sfide, l’integrità e la reputazione siano il più importante degli asset e che non saranno mai sostituite, per cui rappresentano il migliore degli investimenti.

Mauro Conti
Bergamasco classe ’87, da sempre appassionato di industria impiantistica e dei suoi processi, Mauro Conti inizia la sua carriera lavorativa presso Basf. Dopo un ruolo di gestione degli acquisti per impianto e pianificazione della manutenzione, approda alle Officine Resta, operando nell’ufficio tecnico con un ruolo trasversale tra acquisti e produzione. Attualmente è in forza nel dipartimento procurement presso una delle realtà leader nell’impiantistica Oil & Gas.