Ci stiamo provando con tutte le nostre forze a trovare una soluzione. Un’azione definitiva che possa mettere fine al conteggio giornaliero di positivi, guariti, deceduti, pazienti in terapia intensiva. Ogni giorno si ripete, i numeri salgono e scendono, dandoci speranza per 24 ore e facendoci tornare nello sconforto le 24 ore successive. In questi ultimi giorni si sono susseguite diverse novità, bufale, teorie più o meno verificate. Una prima notizia positiva che che potrebbe riportare un po’ di speranza e di luce alla fine del tunnel è il remdesivir. Per chi non ne ha ancora sentito parlare, il remdesivir secondo uno studio potrebbe essere la nostra via di fuga dalla pandemia globale. No, non è un supereroe anche se dal nome si potrebbe ipotizzare e non è nemmeno un nome in codice di un piano di azioni per salvare il mondo. 

 

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Lo avevamo già sentito il remdesivir?

Codice di sviluppo GS-5734, il remdesivir è un farmaco antivirale nella classe degli analoghi nucleotidici che abbiamo già sentito nominare per il trattamento di malattie come l’ebola e le infezioni da virus Marburg, per citarne alcuni, e che venne messo in commercio dall’azienda farmaceutica Gilead. Il suo potere, come quello di tutti i grandi antivirali, è quello di rallentare la velocità con la quale i virus si replicano all’interno di un organismo. 

Sebbene in quell’occasione i risultati del suo impiego sull’ebola erano stati incoraggianti in un primo momento, la sua applicazione su vasta scala portò a scarsi risultati. Al tempo stesso il farmaco è stato sperimentato come soluzione per malattie infettive del sistema respiratorio come SARS e MERS. 

Lo studio del NIAID sul Remdesivir

Ma torniamo ad oggi, secondo uno studio condotto dal National Institute of Allergy and Infectious Disease (NIAID), un centro di ricerca pubblico statunitense, il medicinale potrebbe contribuire a ridurre i tempi di recupero per i pazienti che presentano una sintomatologia più grave, evitando loro la terapia intensiva. 

Lo studio, iniziato il 21 febbraio, si è basato su un campione di 1063 pazienti provenienti dagli Stati Uniti, Europa e Asia. Le prime rivelazioni non esaustive del 27 aprile hanno segnalato che i pazienti trattati con il remdesivir hanno riportato migliori risultati rispetto ai pazienti trattati con placebo. Il capo del NIAID, Anthony Fauci, nonostante i risultati non siano ancora stati resi pubblici, ha anticipato gli esiti durante una conferenza stampa alla Casa Bianca il 29 aprile. 

Nel concreto Fauci ha confermato che i tempi di recupero dei pazienti trattati con il farmaco sono di 11 giorni, rispetto ai 15 dei pazienti-placebo, e che il tasso di letalità dei primi è dell’8% rispetto al 12% del secondo ( ma in questo caso non si parla di risultati rilevanti a livello statistico). 

Cosa aspettarsi adesso?

Non si hanno ancora certezze al momento, è troppo presto per identificare una soluzione unitaria e universale. Quel che è certo è che i farmaci più promettenti per trattare il coronavirus sono quelli che rallentano la sua corsa all’interno dell’organismo e che permettono al nostro corpo di conoscere la minaccia e di liberarsene. Gli studi sul remdesivir dovranno continuare per comprendere in quali fasi della malattia somministrarlo. Allo stesso tempo la ricerca continua: nuovi farmaci, nuovi studi, nuove teorie. E a noi non resta che aspettare.